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Gli effetti della crisi, le criticità, i numeri: ecco come sta l'economia a Messina

Una città popolata di dipendenti e di pensionati, colpita meno dal Covid rispetto ad altre realtà. Drammatiche sono, però, le previsioni per i prossimi 20 anni, se non si cambierà la visione strategica

«Obiettivo di questo Report è offrire un'istantanea sullo stato di salute economica della nostra città, soffermando l'attenzione sui “fondamentali” del sistema, cioè quelle grandezze economiche sulle quali poggia l'intera costruzione del sistema produttivo locale». Comincia così il lavoro, dettagliato e aggiornato proprio alla situazione attuale della città di aprile 2021, denominato “Messina: un'istantanea sull'economia della città”. A realizzarlo il docente di Economia dell' Università di Messina Michele Limosani. «La foto del sistema che si propone è proprio un'istantanea - spiega il prof. Limosani - ed è naturale pensare che “ciò che siamo e che osserviamo oggi” sia anche il risultato della storia e delle scelte pregresse di politica economica operate dai vari governi nazionali, regionali e dalla classe dirigente locale. Quanto dobbiamo andare indietro nel tempo per cercare di individuare quegli eventi che continuano a produrre effetti sulla realtà sociale ed economica? La questione è controversa». E qui s'innesta la più generale vicenda della storica, e ancora attualissima, “questione meridionale”. Limosani, in ogni caso, si rivolge agli studenti di Economia ma, in definitiva, a tutti i cittadini dello Stretto.

Quante persone lavorano?

Messina registra una popolazione di circa 230 mila abitanti e di 99 mila nuclei familiari. La media è di 2-3 persone a famiglia. I contribuenti che hanno presentato dichiarazione fiscale in città sono circa 133 mila, il 58 per cento della popolazione residente. Per ogni soggetto che presentazione dichiarazione al fisco esiste un altro soggetto che non dichiara redditi. Parliamo di centomila delle duecentotrentamila persone. Se si tengono fuori i bambini, i ragazzi e i giovani tra zeo e 19 anni (40 mila), restano 60 mila messinesi che o non lavorano o popolano il folto vosco del mercato nero o vivono di puri e semplici espedienti. Limosani ricorda che nella fase pre-Covid furono 18 mila le istanze presentate dai messinesi per il Reddito di cittadinanza.

Quanto si guadagna

Lo studio prosegue: il 33 per cento dei contribuenti dichiara redditi compresi tra 0 e 10 mila euro lordi (tra 0 e 800 euro mensili lordi), il 40% è compreso tra 15 mila e 26 mila (fino a un massimo di 2200 euro lordi). «Il peso della tassazione sui redditi delle famiglie (Irpef) in città ricade in massima sulla fascia di contribuenti con redditi medio-bassi (circa il 50 per cento). I contribuenti inclusi nella fascia bassa (0-15 mila), infatti, pagano poche tasse per via delle esenzioni e delle aliquote minori; quelli compresi nella fascia alta di reddito, per via del numero esiguo, forniscono uno scarso contributo. Il residuo fiscale, ossia la differenza tra quanto un cittadino versa in termini di tasse (dirette e indirette) e quanto riceve in termini di benefici legati alla spesa pubblica sarà giocoforza negativo. È evidente, infatti - continua Limosani - che poche persone, e per di più con redditi medio-bassi, dovranno finanziare la spesa pubblica per servizi (che si rivolge a tutta la popolazione residente sul territorio): sanità, istruzione, pensioni sociali e sicurezza». E il dato più drammatico che si nasconde dietro queste analisi è in una constatazione che Limosani fa riferendosi alla vita quotidiana: «Su dieci persone che incontriamo ogni giorno e che dichiarano di lavorare (non in nero, ovviamente), 5 non riescono a superare la soglia del reddito di povertà, 4 appartengono alla cosiddetta classe media, con una netta prevalenza di redditi medio-bassi e un solo soggetto, dico 1, sta molto bene».

La fonte di reddito

Forse è come scoprire l'America qualche secolo dopo Cristoforo Colombo, ma “l'istantanea” conferma che Messina è una città essenzialmente di impiegati e di pensionati Inps (l'ente pubblico più “caro” ai messinesi). I redditi d'impresa e dei lavoratori autonomi sono marginali. Poco più di ventimila sono le aziende registrate secondo le ultime statistiche della Camera di Commercio, gran parte delle quali concentrate nei settori della manifattura, del commercio, dell'edilizia e della ristorazione. Diverse migliaia le imprese che risultano essere registrate ma sono inattive. Circa 5 mila le ditte individuali che registrano perdite di esercizio e presentano quindi un imponibile pari a zero. «In questa apparente estrema fragilità del sistema - sottolinea, però, l'economista messinese - emergono anche alcuni dati confortanti. Sono, infatti, circa 126 le imprese di capitale distribuite nella provincia di Messina che fatturano più di 5 milioni di euro l'anno e operano prevalentemente nei settori dell'energia, dei trasporti, del credito, dei prodotti elettronici e per l'agricoltura, della grande distribuzione e della venditga di materie prime (ferro e derivati del petrolio)». Ci sono poi le partecipate, aziende sanitarie private, imprese di prodotti alimentari e di costruzione. Sei aziende fatturano sopra i 50 milioni di euro e alcune società hanno pensato, o lo stanno facendo, di quotarsi in Borsa.

Quanto vale la ricchezza

«La ricchezza netta delle famiglie nel Comune capoluogo - specifica Limosani -, secondo nostre elaborazioni sui dati di Banca d'Italia, è stimata intorno a un valore di 20 miliardi. In particolare, il 50% di questa ricchezza è rappresentato dalla Casa; consistente è, infatti, il numero di soggetti che dichiara redditi da immobili, ossia redditi provenienti da affitti di seconde case o di immobili per negozi e attività commerciali (circa 60 mila). Il 15% della ricchezza è ancora detenuta liquida nei conti correnti, 3 miliardi circa. Il rimanente in altre attività finanziarie, ta le quali i titoli di Stato. Una fetta consistente del patrimonio delle famiglie (circa il 90%) è detenuto in attività finanziarie considerate sicure (case, depositi bancari e titoli) e investita in attività non produttive. E questo è un grave problema».

Il futuro del sistema economico

Dai dati in possesso lo studio immagina quale potrebbe essere il futuro di Messina. «In poche parole - spiega Limosani - abbiamo immaginato come potrebbe essere la nostra città fra vent'anni, se non facciamo nulla per cambiare le attuali tendenze». Vediamo, dunque. «Se assumiamo che la popolazione rimanga stazionaria, ossia il tasso di natalità permane uguale a quello di mortalità, e qui ci vuole una forte dose di ottimismo; se assumiamo che il rapporto tra la popolazione residente e quella attiva si mantenga costante, allora è possibile avanzare due previsioni. La prima riguarda il numero di pensionati che, tra 20 anni, si attesterà ancora su un valore superiore al 40 per cento. Gli impiegati di oggi saranno la componente più importante dei pensionati di domani e le pensioni continueranno a essere sempre più la maggiore fonte di reddito della città. Ma questi pensionati, che dovranno “godere” del regime contributivo, avranno un pensione pari a circa il 30 per cento in meno dell'ultima retribuzione. Il welfare, generosamente erogato dai nonni a favore dei figli e nipoti, conoscerà tempi duri. La seconda previsione è che gli impiegati che andranno in pensione dovranno essere rimpiazzati. Ipotizzando un turn-over pari a 0,80 (8 nuovi assunti su 10 pensionati), la quota di lavoratori dipendenti sarà a regime circa del 40%, il 10 per cento in meno di quelli che attualmente dichiarano un reddito. Cosa ne sarà del rimanente 10 per cento? Con buona probabilità - Limosani risponde alla sua stessa domanda - finirà per alimentare il numero di coloro che fuggono dalla città o incrementare il serbatoio della disoccupazione». Se nulla cambia, dunque, siamo destinati a un ulteriore impoverimento generalizzato.

Il prezzo del Covid

Messina non è tra le città che ha pagato il prezzo più alto in questo anno di pandemia. «La gran parte dei redditi - sostiene Limosani - dei nostri concittadini non ha subito forti riduzioni a causa dei lockdown, i pensionati e i pubblici dipendenti hanno avuto i redditi garantiti dallo Stato, i dipendenti delle aziende private hanno avuto i benefici della cassa integrazione, anche se con evidenti ritardi e difficoltà, e importi ridotti in media del 25%». Sono stati colpiti, ed è sotto gli occhi di tutti, i redditi da impresa, soprattutto quelli delle piccole imprese, individuali o familiari.

Gli “irrinunciabili 10”

Cosa sono? Sono gli obiettivi che lo studio ritiene indispensabili per consentire alla città di sfuggire alla morsa della crisi e di adeguare i propri standard a quelli europei. Si va dall'incremento delle opportunità e della partecipazione al mercato del lavoro delle donne e dei giovani (tasselli fondamentali) alla maggiore cura dell'ambiente; dall'emersione dell'economia sommersa alla rigenerazione urbana, dalle connessioni infrastrutturali della città al Continente e alle altre città metropolitane alla difesa del territorio, dalla riorganizzazione dei servizi pubblici territoriali alla rivoluzione della macchina amministrativa, dalla qualità dei servizi sanitari all'innovazione tecnologica. Questi obiettivi fanno parte ovviamente, specifica Limosani, di una visione strategica che la città deve darsi, incalzando i Governi centrali (Stato e Regione) ma anche dotandosi del coraggio necessario a compiere scelte e a portarle avanti fino in fondo. «Una crisi così profonda - si chiude il report con una nota di speranza - può essere trasformata in un'occasione storica per ridare un futuro migliore alle nuove generazioni».

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