
Cesti ricolmi di carrube d’oro, a simboleggiare ricchezza (non solo economica) e crescita del territorio, saranno attraversati da un lungo sciame di formiche che si moltiplicheranno lungo l’intero ambiente espositivo e continueranno il loro cammino all’esterno, fino a irrompere nella piazza, dove sorge l’ex convento del Carmine. Questa installazione, firmata da Emilio Isgrò, il prossimo 5 maggio segnerà in modo inconfondibile l’inaugurazione a Scicli (una delle capitali del barocco siciliano) del MACC, Museo d’Arte contemporanea del Carmine, finalmente restaurato dopo tanti anni di chiusura. E accoglierà, fin dall’esterno, i visitatori indirizzandoli verso l’antologica dell’artista delle cancellature, nato a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1937, che, oltre all’installazione, presenterà opere che narrano il suo percorso creativo fin dagli anni Sessanta.
Isgrò si autodefinisce un siciliano cittadino del mondo e lo ha ribadito nello spiegare la scelta delle formiche (a lui care come le api) quando ha creato questa nuova opera “site-specific” (come si dice oggi): «Sono un artista italiano e siciliano, cittadino di un’Europa che ha bisogno di un’arte non allineata per dare un contributo non puramente decorativo a un mondo in tumulto. Così ho pensato a questa “Opera delle formiche” come segno di una Sicilia fedele a se stessa che tuttavia sa bene quando è venuto il momento di cambiare. Non più il ficodindia o l’Opera dei pupi, non più la retorica sicilianista, ma le umili formiche che offrono la loro intelligenza operosa a sostegno di un paese che deve entrare tutto intero in Europa se vuole pesare qualcosa».
Come sempre, Isgrò va oltre l’arte vera e propria e non dimentica (e non fa dimenticare) di essere anche poeta, scrittore, drammaturgo e giornalista. Anche a causa di quest’ultima caratteristica, quando si parla di lui, è sempre forte la tentazione di citarlo continuamente tra virgolette. E, infatti, ecco un’altra citazione, tratta da un articolo che, per questa occasione, ha scritto sul Corriere della Sera, in cui (occorre dirlo?) cancella ancora, in questo caso anche storia e geografia: «Allora, quando nacquero i capolavori di questi due scrittori (si riferisce a Sciascia e Tomasi di Lampedusa, nda), si sapeva bene dove stava il Nord e dove stava il Sud. Oggi non si sa più. Si profila, piuttosto, un Grande Meridione del mondo che capovolge la storia e la geografia insieme. La Sicilia è diventata, di fatto, il Nord di quel Sud petrolifero dove è nato Dio e dove si fanno le guerre in vista di una pace che prima o poi dovrà venire».
Questa premessa sarà d’aiuto nel visitare la mostra, intitolata appunto «L’Opera delle formiche» e curata da Marco Bazzini e Bruno Corà. Ci saranno i primi “articoli di giornale” del 1962, le prime cancellature e “lettere estratte” degli anni Settanta fino ad arrivare alle più recenti “cancellature in rosso”. E ancora lavori provenienti da collezioni private, come Gallerie d’Italia-Intesa Sanpaolo, o – continuando – l’opera «Non schiacciatemi per favore», dedicata alla gentilezza, creata per la Fondazione Amplifon, sponsor della mostra, il nuovo allestimento di «Non uccidere» (realizzato con una scultura di Mario Botta), dalla collezione del Maxxi di Roma, simbolo di pace, e la scultura «La lumière de la Liberté».
Il Museo di Scicli celebrerà questa attesa riapertura con una serie di eventi, fra cui anche la presentazione del catalogo, pubblicato da Allemandi, dedicato all’antologica di Isgrò, che rimarrà aperta fino al 3 novembre. In evidenza la necessità di ripercorrere le tappe di un lungo cammino concettuale, che anche questa volta (tanto più con le precedenti citazioni alla mano) sono convinto di definire «arte del risveglio», un invito a pensare e a servirsi del passato, più o meno cancellato, per ri-scrivere presente e futuro.

Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano o scarica la versione digitale.

Caricamento commenti
Commenta la notizia