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Navigando a vista tra le «Ore incerte»: parla lo scrittore Silvio Perrella

Un libro d’istanti e meraviglie dove c’è anche lo Stretto «luogo sacro» di metamorfosi. Oggi a Messina l'incontro con i lettori-viaggiatori

Porta con sé (fuori da sé) luoghi e personaggi, porta narrazioni e istanti, porta una geografia dell’instabile, un mosaico di tempi e luoghi (ma attenzione: il mosaico si muove e cambia al cambiare del vento, della corrente, dello sguardo di chi legge): oggi lo scrittore e critico letterario Silvio Perrella – palermitano di nascita, meridionale di sentimento, viaggiatore del mondo (tra strade e pagine) per inclinazione e scelta – sarà in uno dei luoghi che il suo ultimo, bel libro «Ore incerte» (il Saggiatore) evoca e racconta: la Messina dello scillecariddi, quel luogo di metamorfosi e svelamenti che è lo Stretto.

Un libro oltre il saggio o il romanzo, un libro-viaggio tra luoghi che sono esseri (Venezia, Stoccolma, Kyoto, Tangeri, qualunque isola...), creature che sono luoghi (Ingrid Bergman, Miles Davis, Antoine Doinel-Jean-Pierre Léaud...), albe napoletane e piazze palermitane, linee d’acqua e sentieri sui vulcani. Ciascuno raccontato-cantato in un’ora speciale, «certosina» o «in bilico», «sulfurea» o «tonda», «cinerina» o «ipnotica».

Un libro multiforme e acceso, costellato d’immagini di Odilon Redon (tutte varianti della “barca”, a cui noi lettori c’affidiamo, spaesati e felici, senza meta che non sia il navigare), con la labile traccia di due personaggi non più reali del lettore che legge, dello scrittore che dirige (dopotutto, «una persona è un ritratto mutevole, un passo che s’avventura», una citazione sulla bocca di altri), gli amanti Suleika e Hatem.

Dopo un seminario-laboratorio al DiCAM, nell'ambito delle lezioni di Metodologia della ricerca geografica del prof. Giovanni Messina, Perrella oggi sarà alla libreria Feltrinelli (ore 18), assieme al gruppo di “Sopralluoghi”, per incontrare lettori-viaggiatori.

Sono un lettore, apro il suo libro e vengo immediatamente, esplicitamente, invitato a entrare... in cosa? Un viaggio, un catalogo, un “divano” (in senso goethiano), una mappa di emozioni, un mosaico esploso, un orologio metafisico?
«Nel mio libro si entra e si esce contemporaneamente. Si entra ad apertura di pagina nel mondo dell’alfabeto, fatto di righe, di caratteri tipografici, di versi allusivi e spesso singoli, d’immagini che si fanno avanti come oblò. Si esce con l’immaginazione nel fuori polimorfo della geografia, delle apparenze, dei finisterrae, dei fari, delle coste, dei mari. Si entra e si esce come un continuo inseguimento; un inseguimento che riguarda Hatem e Suleika, i due personaggi-persone che misurano ogni passo del narratore, che è a sua volta una persona-personaggio. È anche in questi andirivieni sdruccioli che prende forma l’incertezza come forma di continua metamorfosi, di scambi delle parti, di veloci cambi di paesaggi. L’incertezza come sentimento dell’oggi e insieme l’incertezza come apertura al tempo che sempre si muta in spazio e si lascia vedere come un accadimento sia delle mente sia del corpo. Non a caso Hatem e Suleika, che ho tratto dalle pagine del “Divano Occidentale Orientale” di Goethe, sono amanti e per loro, come suona un verso del poeta, Bagdad non è mai lontana».

Perché l'unità di (dis)misura è l'ora, e ciascuna ora misura, conta/canta un tempo diverso?
«Sono partito dai Libri d’ore che per secoli hanno accompagnato le giornate dei monasteri, dal Mattutino sino alla Compieta, passando per le Lodi e il Vespro. Si trattava di otto ore certe, certissime, da scandire come un rito. Le mie invece sono ore incerte, non solo perché si moltiplicano fino a diventare una cinquantina, ma soprattutto perché sono il frutto di una polifonia percettiva. È come se ogni luogo avesse in serbo la sua ora e tu dovessi essere capace non solo di coglierla, ma anche di definirla. Ecco che si va dall’ora levantina di Leuca all’ora oceanica di Porto, provando a dar forma a un sismografo dei sentimenti, tenendo sempre a mente quanto sarebbe necessario ripensare sia l’oriente sia l’occidente tentando, sulla scia di Goethe, una nuova alleanza che darebbe respiro a un mondo che s’incarcera e c’incarcera nello scontro frontale delle guerre, nel sangue che imbeve tragicamente le terre, nel respiro invaso dall’agrume del nostro mare trasformato in un’immensa tomba liquida».

Nel suo libro noi (l'io-tu del lettore) torniamo per due volte nello Stretto, il luogo doppio che moltiplica e trasforma. Lei in un altro suo libro parla di ponti, e di ciò che unisce (e «ponto» per eccellenza è il mare). Che ponte è, già, lo Stretto?
«Sia l’ora a raddoppio sia l’ora domenicale sono dedicate allo Stretto. Non solo perché io sono nato in Sicilia, in Ore incerte c’è molta Sicilia e addirittura immagino che Hatem e Suleika vivano alla Zisa di Palermo. Ma anche perché in Sicilia c’è una delle grandi fenditure della terra alla quale diamo il nome di Stretto e che Stefano D’Arrigo chiamava lo scillacariddi. Lo sento come un luogo sacro, un luogo di vertiginosa verticalità che sin da Omero ha ipnotizzato le menti dei poeti e che tale è necessario che rimanga, senza subire inutili e costosissime sevizie. Ogni volta che torno è per me come un rito arrivare a Capo Peloro, salutare gli amici e sodali di Mesogea e dell’Horcynus Orca, e immergermi con circospezione sul limitare dei due mari; e stando in acqua sapere-sentire che, come dicevano i Greci e come ricorda lei nella sua domanda, il vero, unico pontos è il mare. In una formula: no Ponte, sì Pontos. Non c’è oggetto più metamorfico e incerto del mare; e quando il mare dialoga con coste che incarnano mondi diversi siamo in presenza dell’infinita traduzione che è alla base del comprendersi, sapendo quante volte sarà necessario rettificare la frase per avvicinarsi all’altro, alla sua inevitabile incomprensione, a quello che in un mio poemetto chiamo il purgatorio dei viventi».

Che ora è adesso, nel mondo?
«È un’ora che ha smarrito il rapporto nutriente con le fonti; è un’ora schizofrenica che non sa dire né parole chiare né parole oscure. È un’ora senza ora, succube di se stessa, senz’aria, una sorta di monade nauseabonda. È per questa ragione che sono sempre più necessari i sopralluoghi, così come li intende il gruppo messinese che s’incontra nello studio di Gianfranco Anastasio: mappature e avventure. Non è dunque per nulla un caso che insieme a loro oggi si svolgerà la presentazione di Ore incerte. Sarà un sopralluogo da fermi, dove però si entrerà nell’alfabeto e si uscirà nel mondo, come se fossimo tutti sulle meravigliate barche di Odilon Redon che navigano nel mio libro».

Buona navigazione a tutti noi.

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