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Quando va in scena la fragilità umana. Parla l’attore Giampiero Cicciò

Da domani a Messina l’intenso dramma «A torto o a ragione» con la regia di Giovanni Anfuso

Il teatro serve per sostare, per entrare nella vita degli altri, di quegli altri che potremmo essere noi. Ed è significativo farlo con il testo teatrale «A torto o a ragione» dello scrittore, drammaturgo e sceneggiatore sudafricano Ronald Harwood, testo che, con la traduzione di Alessandra Serra e per la regia del catanese Giovanni Anfuso (aiuto regia Lucia Rotondo) da domani a domenica, dopo il grande successo al Teatro India di Roma e al Teatro Stabile di Catania, sarà rappresentato al Teatro Vittorio Emanuele di Messina.

Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Catania, dal Teatro di Messina e dalla Fondazione Teatro di Roma, è tratto da «un testo molto intenso e profondo – come ci dice il regista Anfuso, che è anche, con Matteo Pappalardo, il direttore artistico dell’Ente Autonomo Regionale Teatro di Messina – e ci racconta la storia del direttore d’orchestra tedesco Wilhelm Furtwängler e la sua inquisizione presso i tribunali di denazificazione all’indomani della sconfitta di Hitler. Furtwängler è accusato di essere rimasto a Berlino e di non essere fuggito come tanti suoi colleghi, soprattutto, chiaramente, gli ebrei. Il testo indaga sul rapporto tra arte e politica, tra libero arbitrio e condizionamenti che il potere esercita sugli artisti e interroga le coscienze di ciascuno di noi sul fatto che in qualche modo si è colpevoli dove non ci si oppone con forza».

Sono questi gli interrogativi che il testo ha posto al regista, che punta fortemente a riaprire i rapporti tra il teatro e il territorio: «Tanto lavoro per la sezione musica è stato già fatto con Matteo Pappalardo – dice Anfuso –, ma la sezione prosa si ritrova a dover inventare un percorso e a recuperare il rapporto con la circuitazione nazionale, come abbiamo già fatto con i nostri cugini, lo Stabile di Catania e di Palermo; e poi stiamo guardando a Roma e a Milano». Il teatro che cresce e unisce, che crea comunità e che recupera ruolo.

Intanto Anfuso per questo particolare spettacolo si è avvalso di un gruppo di collaboratori ormai ben collaudato, con le scene di Andrea Taddei, i costumi di Isabella Rizza, le musiche di Paolo Daniele e le luci del messinese Antonio Rinaldi, e sei attori «che mi hanno seguito – continua – trasformando uno spettacolo costituito fondamentalmente da tre interrogatori in un incontro/scontro fra uomini con le loro fragilità, ostinazioni e debolezze, col bisogno di scagionarsi di Furtwängler da una parte e dall’altra con quello ossessivo di trovare comunque un colpevole».

Sei i magnifici attori: Stefano Santospago, Simone Toni, Liliana Randi Luigi Nicotra, Roberta Catanese e Giampiero Cicciò, gli ultimi due messinesi e con ruoli intensi e di rilievo. Ne abbiamo parlato con Giampiero Cicciò.

Giampiero, un testo impegnativo, «A torto o a ragione», che tratta del rapporto tra arte e politica, un argomento antico ma sempre attuale.
«Sì, che si viva calpestati da una dittatura o in democrazia, o in quelle vie di mezzo che la stanno sostituendo in tutto il mondo, la politica è consapevole che gestire i luoghi dell’arte, come musei e teatri, dà prestigio. Ma, soprattutto negli ultimi decenni, questo prestigio non sempre è corrispondente alla qualità. La storia è piena di esempi. I papi magnificavano la loro grandezza, il loro potere, attraverso artisti immensi come Michelangelo o Bernini, Hitler attraverso talenti geniali come Ziegler, Furtwängler o Richard Strauss. Ancora oggi è così. Persino il Festival di Sanremo è conteso da destra a sinistra. E pure i Village People fanno brodo...».

Qual è il tema principale?
«Credo che il tema principale sia la fragilità umana. In scena i criminali veri, Hitler, Goebbels, Göring, sono solo evocati. Qui i personaggi di Harwood, tedeschi o americani, sono vittime interiormente devastate dalla crudeltà del nazismo. E purtroppo quell’odio verso altre nazioni, altre etnie e minoranze oggi vive un rigurgito inquietante in tutto il mondo».

Qual è il tuo ruolo e come ti sei trovato nella pancia del personaggio che interpreti?
«Interpreto Helmut Rode, un personaggio d’invenzione, secondo violino alla Filarmonica di Berlino, emblema di coloro che terrorizzati da un potere assoluto non hanno la forza di agire con coraggio, di ribellarsi, e per non essere ammazzati o per non perdere il lavoro, devono aderire alla politica del momento, per quanto abietta possa essere. Per un attore è un ruolo magnifico su cui lavorare. Non è un uomo malvagio come i suoi capi ma la sua connivenza, la sua pavidità, lo rendono una delle cause per cui le dittature riescono a sopravvivere».

«A torto o a ragione» non è un testo nuovo per l’Italia. Come è stato lavorare per questa regia?
«Anfuso è un regista che lascia grande libertà agli attori e sa come esaltare le loro proposte. Qui ha formato un cast di prim’ordine. I miei colleghi hanno tutti un grande talento ed è per me un piacere essere in questo bel cast. E finalmente, dopo tanto tempo, abbiamo uno spettacolo che vede tra i produttori anche il nostro Teatro di Messina e che va in tournée».

Tra i tuoi prossimi impegni c’è il Festival inDivenire a fine aprile a Roma per il quale curi la direzione artistica. Come procede l’organizzazione?
«Questo festival che si svolge allo Spazio Diamante è ormai centrale nel mio lavoro e nella mia vita perché è diventato un’importante vetrina romana soprattutto per le giovani compagnie. Mi fa sentire utile ed è il festival che agli inizi del mio percorso professionale avrei voluto esistesse già a Roma. Strappa dai cassetti molti sogni teatrali a rischio muffa in un contesto italiano spesso disattento ai talenti senza santi in paradiso. Tutto questo lo si deve ad Alessandro Longobardi, tra l’altro direttore artistico del Teatro Brancaccio e della Sala Umberto, che è l’ideatore nonché il deus ex machina di questo festival».

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