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Pirandello-Sciascia, una conversazione (im)possibile. Il “dialogo” di Matteo Collura in scena a Tindari

Dalla pagina al palco una “perla” dei preziosi Quaderni di Regalpetra

I Quaderni di Regalpetra sono una bella collana edita dalla calabrese Rubbettino e curata da Vito Catalano (nipote di Leonardo Sciascia e scrittore anche lui), «una piccola biblioteca che si propone di presentare non solo saggi e studi sull’opera dello scrittore di Racalmuto, sui suoi carteggi, su quel che è stato scritto su di lui in tanti decenni, ma anche testi su argomenti che lo interessarono o di cui si occupò o che partono da una sua pagina o da una sua intuizione».

E da quell’universo-magistero sciasciano al quale si è avvicinato tante volte con i suoi scritti, il giornalista e scrittore agrigentino Matteo Collura ha tratto fuori un’idea “nuova”, «Luigi Pirandello-Leonardo Sciascia. Una conversazione (im)possibile» (Rubbettino). Un’idea nata proprio nella Biblioteca Lucchesiana di Agrigento (che Pirandello descrive nel romanzo «Il fu Mattia Pascal»), e che è divenuta un “volumetto” con prefazione dell’autore e postfazione con un testo di Sciascia in occasione del cinquantenario della morte di Pirandello.

Un testo letterario (forse l’unico luogo in cui persone vissute in epoche diverse possono incontrarsi) che poi a sua volta è diventato una conversazione reale tra Collura e Fabrizio Catalano, regista e scrittore (fratello di Vito e come questo amato nipote di Sciascia), uno spettacolo già rappresentato, dal Teatro Antico di Taormina al salotto di casa Manzoni, a Milano, e che il 26 agosto alle 19 sarà in scena in un altro luogo suggestivo, il Teatro antico di Tindari dove, nell’ambito della seconda edizione di «Il sorriso degli Dei», incontri di letteratura curati da Anna Ricciardi, Matteo Collura e Fabrizio Catalano, introdotti da Mario Patanè, daranno voce, rispettivamente, a Luigi Pirandello e Leonardo Sciascia.

Dunque, nella celebre udienza che Pirandello dà ogni domenica mattina, dalle otto alle tredici. ai suoi personaggi, ecco presentarsi Sciascia, inizialmente timoroso davanti al suo “maestro” che «gli ha “rovinato”/arricchito la vita con le sue opere», ma poi intraprendente nella determinazione di condurre con lui una conversazione che s’inoltra tra le luci e le ombre e il mistero dell’essere scrittore. Ma anche dell’essere padri, non solo dei propri figli biologici, ma anche di altri scrittori, e dei lettori, e, ancora, tra battute umoristiche e notazioni letterarie (da Tilgher a Manzoni a Croce) e politiche (dall’antiparlamentarismo di Pirandello dovuto allo scandalo della Banca Romana al “suo” fascismo) e simpatici fraintendimenti dai quali scaturisce, socraticamente, una serie di verità. Quella verità della letteratura, e quell’impegno civile degli scrittori, rivendicati da Sciascia in conclusione del testo, e vivi anche quando essi non ci sono più.

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