Rieccola di nuovo a Taormina! È la giovane sacerdotessa di Iside, dal volto malinconico e con lo sguardo ispirato e nostalgico, che sembra andare oltre ogni cosa, spazio o tempo che sia, forse molto lontano, agli anni in cui questo marmo fu scolpito, nel secondo secolo d.C.. Priva della mano destra, la sacerdotessa, vestita accuratamente, elegante, ha il braccio sinistro rivolto verso il basso con la mano che tiene un piccolo canestro con coperchio di vimini intrecciati, uno negli attributi più ricorrenti nelle figurazioni che riguardano la dea Iside, anche nei culti che si svilupparono nella Sicilia antica.
È proprio questa preziosa statua, alta 1 metro e 37 cm, che fu ritrovata nel 1867 nei pressi della chiesa di San Pancrazio e che torna per la seconda volta nella sua città d’origine (si trova nel Museo Salinas di Palermo) a essere il perno centrale di una straordinaria mostra che ci racconta la Taormina archeologica che è stata inaugurata ieri sera a Palazzo Ciampoli – presenti il sindaco di Taormina, Cateno De Luca, e Mirella Vinci, soprintendente ai Beni culturali di Messina – e che rimarrà aperta fino al 30 novembre.
È il perno centrale per il valore artistico e storico, ma anche o forse soprattutto perché è il simbolo di quella necessità, finora sempre frustrata, della creazione di un museo archeologico a Taormina, magari a Badia Vecchia, il palazzo sempre ambito, già sede di una precedente esposizione nel 2001, e che adesso il Comune potrebbe vendere, con questa destinazione d’uso, al Parco archeologico Naxos Taormina. Ecco quindi che questa mostra, fortemente voluta da Gabriella Tigano, l’ultima archeologa a dirigere un parco archeologico in questa strana regione (con leggi regionali sui dirigenti altrettanto strane) che è la Sicilia, e ormai a pochi mesi dalla pensione, fa il punto, dopo due anni di lavoro specifico e in maniera affascinante grazie alle ricostruzioni visive tridimensionali, delle ricerche sull’importante passato dalla città jonica.
«Dalla Taormina dei greci (Tauromenion) – così viene presentata – a quella di epoca romana (Tauromenium)». Raccontata nell’arco temporale del suo massimo splendore – dal III secolo a.C. al II d.C. – «la città adagiata sui fianchi del Monte Tauro rivive nel suo imponente impianto scenografico, dove ogni monumento era stato concepito dai greci per poter guardare il mare», ed è la protagonista della mostra archeologica e multimediale intitolata appunto «Da Tauromenion a Tauromenium. La città invisibile tra storia e archeologia». Lo scopo evidente del percorso espositivo, infatti, è quello di rendere visibile ciò che non lo è, dove la frammentarietà dei pur tanti reperti venuti alla luce in scavi pubblici e privati non consente la fruibilità tipica invece dei monumenti più conosciuti: Teatro Antico, Odeon e Naumachie.
Adesso tutti gli studi realizzati da gruppi di lavoro scientifici e tecnici, uniti alle possibilità spettacolari date dalle ricostruzione di palazzi e strade in 3D, consentono di riproporre Taormina in quella che viene chiamata “realtà immersiva”, rendendo giustizia a un concetto molto importante in archeologia, ovvero quello di «sito a continuità di vita», dove cioè c’è stata ininterrotta presenza umana nel corso dei millenni.
Si ripercorre così una storia che comincia poco dopo la fondazione di Naxos (734 a. C.), prima colonia greca in Sicilia, con insediamenti siculo-greci, cui segue la fondazione ufficiale di Tauromenion da parte di Andromaco (358 a. C.), quindi con il dominio di Siracusa, prima di passare a quello di Roma. Con una caratteristica costante: quella di una città prospera e dotata di autonomia. Finché ai tempi della guerra civile romana, la scelta di appoggiare Pompeo si rivela sbagliata e Ottaviano, diventato l’imperatore Augusto, non esita a deportare i vecchi abitanti (21 a. C.), inserendo al loro posto i suoi veterani. Nasce Tauromenion, con la caratteristica comune a quella precedente di essere economicamente ricca. Tutto questo viene fatto rivivere in sei sezioni tematiche, nei due piani di Palazzo Ciampoli. Si parte dalle tracce delle popolazioni sicule documentate dalla necropoli di Cocolonazzo: le origini, vivere e abitare a Tauromenion/ium, le case degli uomini; gli edifici pubblici, i luoghi del sacro, le necropoli, dal teatro all’anfiteatro, il collezionismo. Nello stesso tempo una carta archeologica, ricostruzioni 3D e un apparato multimediale e immersivo (video e video mapping) fanno rivivere ai visitatori l’esperienza di aggirarsi tra vicoli attuali e dentro la città antica (edifici civili e pubblici, come le Terme, le cui tracce sono alle spalle della caserma dei Carabinieri).
«Taormina – ha ribadito la direttrice del Parco, Gabriella Tigano – è un sito a continuità di vita, quindi la sua storia urbana, in un lasso di tempo di circa 2500 anni, diventa per noi studiosi un complesso mosaico da ricostruire, operazione da condurre con il necessario rigore scientifico. Abbiamo provato a ricomporlo, incrociando fonti documentali, reperti mobili e strutture antiche e, con il supporto delle moderne tecnologie digitali, abbiamo realizzato una serie di video con animazioni 3D per restituire ai visitatori di tutto il mondo e di tutte le età la fascinazione della monumentale e scenografica città fondata dai greci e che visse secoli di pace e fortuna anche in epoca romana».
Commosse le sue parole ieri, all’inaugurazione: «Con questa mostra saldo il mio debito con la città di Taormina e con due persone che, quando mi sono insediata cinque anni fa, mi proposero di fare una mostra sulla storia antica della città. Sono l’archeologa Cettina Rizzo e la professoressa Francesca Gullotta che purtroppo non è più con noi. A lei e alla sua memoria dedico la mostra».
Insomma, accanto a reperti di grande bellezza e importanza, molti mai esposti finora (con prestiti provenienti, oltre che dal Museo Salinas, anche dalla Soprintendenza di Palermo e del Seminario arcivescovile, sempre di Palermo, ex collezione Alliata di Villafranca), c’è la possibilità di sperimentare le visioni e le sensazioni di un cittadino della Taormina di tanti secoli fa.
Secondo l’assessore regionale ai Beni Culturali e Identità siciliana, Francesco Paolo Scarpinato, la mostra «è la testimonianza di come la narrazione di un museo archeologico possa e debba adeguarsi ai linguaggi contemporanei per poter parlare a pubblici diversi e alle nuove generazioni». Come non dargli ragione, quando alla testa del progetto c’è l’ultima delle direttrici archeologhe, invece che agronomi e ingegneri (tutte ottime persone, s’intende), scelte che hanno portato la Sicilia a un’attenzione molto critica della stampa nazionale?
Chissà, Taormina potrebbe essere una buona occasione per annunciare il varo di una legge per dirigenti dei beni culturali più logicamente pensata. Allo stesso modo la mostra, con le sue evidenze scientifiche e spettacolari, chiama la Regione allo sforzo necessario per il varo del tanto atteso e ormai indifferibile Museo archeologico.
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