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Il Papa al G7, perché "tecnologia è spiritualità". Il messinese Spadaro: "La vera sfida? Restare umani"

L'intervista, tra emergenze educative e temi di genere, al gesuista e giornalista messinese Antonio Spadaro, sottosegretario vaticano al Dicastero per la Cultura e l'Educazione, che torna in Sicilia per ricevere il premio Weber Rotary nell'auditorium Ses e presentare a Taobuk il libro scritto con il "siciliano" Martin Scorsese

Il significato antico e profondo della spiritualità, tra nuove sensibilità e le sfide - esaltanti quanto inquietanti - di una tecnologia che nasce dall’intelletto umano ma sembra poi autoriprodursi, in una “non vita” digitale capace di incidere pesantemente sulle persone, in carne, ossa e anima. Di una prospettiva che ci stringe tra speranze e allarmi parliamo con padre Antonio Spadaro, gesuita messinese, sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede, alla vigilia del suo ritorno in Sicilia.

Un interesse a tutto tondo, il suo, per l'espressione del pensiero tra giornalismo, letteratura, musica, cinema, spettacolo. Proprio il Dicastero per la Cultura e l'Educazione, ad esempio, ha appena organizzato l'incontro del Santo Padre con artisti dell'umorismo: perché, e che segno ha lasciato?

L’ironia e la comicità sono canali efficaci di comunicazione a tutti i livelli, incluso quello politico. Non è «intrattenimento», ma espressione artistica ed espressione intellettuale. Lo sguardo umoristico ci cambia l’orizzonte con uno spaesamento improvviso, insolito, inatteso: impedisce di ridurre il reale all’idea che ce ne siamo fatti. E così è capace di denunciare gli eccessi di potere, dà voce a situazioni dimenticate, evidenzia abusi, segnala comportamenti inadeguati... Insomma, attraverso il talento della risata oggi vengono offerte riflessioni uniche sulla condizione umana e la situazione storica. E ci sono fornite in modo accessibile e popolare, spesso anche con stile corrosivo e appuntito. In un momento nel quale l’ordine mondiale è sconvolto, a volte solo un motto di spirito riesce a capovolgere il discorso e a far pensare. Non a caso proprio l’umorismo e la comicità sono cose bandite e fuori legge nelle dittature perché avvertite come minaccia. E poi lo scherzo ha qualcosa in comune con i sogni. Abbiamo bisogno di una cultura più serena e svelenita, ne abbiamo disperato bisogno. L’incontro con Francesco ha generato entusiasmo, e ha chiaramente riconosciuto l’importanza di questa arte nel contesto culturale e politico dei nostri giorni.

La Giornata mondiale celebrata da Papa Francesco con bambine e bambini di tutto il mondo ci ha fortemente riportato al tema della responsabilità educativa, uno dei cardini della pedagogia ignaziana: da gesuita e sottosegretario al Dicastero vaticano di riferimento, quale pensa sia al momento la più grave emergenza in questo campo, e quali gli strumenti per farvi fronte?

Direi che la Giornata non solo ci ha messo di fronte alla responsabilità educativa, ma ci ha ricordato che i bambini, portano all’umanità tante ricchezze. Innanzitutto, portano il loro modo di vedere la realtà, con uno sguardo fiducioso e non ancora inquinato dalla malizia, dalle doppiezze, dalle “incrostazioni” della vita che induriscono il cuore, nonostante i loro egoismi, che pure hanno. Ma certo i bambini non sono diplomatici: dicono quello che sentono, dicono quello che vedono, direttamente. E tante volte mettono in difficoltà i genitori. I bambini non hanno ancora imparato quella scienza della doppiezza che noi adulti purtroppo abbiamo appreso. E fanno domande dirette, forti, difficili. Mi verrebbe da dire che dobbiamo farci educare dai bambini per recuperare uno sguardo sulla realtà che abbiamo perso. Francesco, quando era arcivescovo di Buenos Aires, ha dedicato molto tempo all’incontro con gli educatori, ma anche all’incontro con i bambini con i quali ha sempre fatto omelie dialogate, per esempio, coinvolgendoli direttamente. Quale l’emergenza educativa? Guardi per me è la mancanza di fiducia nel futuro. Quale mondo stiamo consegnando alle nuove generazioni? Passiamo il testimone o ce lo teniamo stretto in mano fino a che la fiaccola non si spegne? Comunichiamo fiducia e speranza? Temo che l’emergenza educativa sia la mancanza di futuro.

I temi di genere sono oggi al centro di una nuova sensibilità, che, al di là di ogni contrasto ideologico, richiama al rispetto per le persone e per le differenze. Una sensibilità necessaria, contro violenze e discriminazioni, che rende sempre più “accettabili” anche modelli non convenzionali: come pensa che la Chiesa contemporanea debba porsi rispetto a questa diversa sensibilità?

Il Papa insiste per una accoglienza di «todos, todos, todos»: è quasi un mantra. La sua prospettiva è fortemente pastorale. Su questo non ci sono dubbi. Francesco mette sempre al centro la persona con la sua esperienza, e la sua storia. Non pone questioni prima dell’accoglienza. Penso che ci sia qualcosa di veramente importante qui. In un tempo nel quale il giudizio e lo schieramento vengono prima del pensiero e della conoscenza, il suo atteggiamento naturale è un invito all’incontro. E non c’è rispetto se non c’è incontro vero. La Chiesa cammina con la storia e dunque comprende la sua missione e l’essere umano in cammino, passo passo. L’essere umano stesso comprende sé stesso gradualmente. Ecco, credo che gli atteggiamenti di base con i quali la Chiesa contemporanea debba porsi siano tre. Il primo è la benedizione, come risulta chiaro dal documento Fiducia supplicans, che non nega la benedizione a nessuno. Il secondo è la comprensione, frutto dell’ascolto della vita delle persone e non delle teorie. Il terzo è l’accompagnamento delle persone in modo che la fede e le sue esigenze diventino parte della loro esistenza concreta e non un sacco di patate da mettere sulle spalle.

Il G7 a presidenza italiana in Puglia ha appena registrato il primo intervento di un pontefice nella storia delle riunioni dei sette “grandi” , richiamando i governi del mondo a rimettere al primo posto la persona. Partendo da un presente in cui risulta oltremodo difficile fare previsioni su qualcosa che sfugge non appena si pensa di averla afferrata, qual è la sua visione dell'umanesimo al tempo dell'intelligenza artificiale?

Perché un leader spirituale affronta un tema «artificiale», tecnologico? Da quel che Francesco detto nel suo discorso all’incontro del G7 risulta chiaro che ha compreso come la tecnologia oggi ha un impatto sempre maggiore sulla spiritualità dell’essere umano, sul suo modo di vivere e di decidere sul suo destino. E ha pronunciato con decisione parole inedite per un Pontefice e cioè: «parlare di tecnologia è parlare di cosa significhi essere umani». Si tratta di un’affermazione importantissima. Non si può parlare più di umanesimo e spiritualità a prescindere dalla tecnologia, dunque. Per questo Francesco ha avviato il suo ragionamento non dai calcoli, ma da qualcosa di spirituale come le «emozioni», quelle che emergono davanti ai progressi tecnologici: da una parte c’è l’entusiasmo e dall’altro la paura. C’è qualcosa di affascinante e di tremendo nella nuova tecnologia. E sono queste emozioni che ci spingono a capire meglio. In un tempo come il nostro di trasformazioni epocali, la questione vera non è se l’intelligenza artificiale potrà diventare umana, ma se l’intelligenza umana potrà «rimanere» umana. E dunque porre la questione tecnologica è porre una questione naturalmente spirituale. Il cuore della riflessione di Francesco è stata la capacità di «decidere». Le scelte prese sulla base di algoritmi, dei dati accumulati nel tempo, del calcolo delle probabilità, come fa l’intelligenza artificiale, rischiano di rafforzare i pregiudizi. Rischiano soprattutto di non considerare le possibilità umane, la sorpresa, il cambiamento. D’altra parte, dobbiamo smitizzare l’angoscia che ci prende: nel tempo l’umanità ha vissuto rivoluzioni incredibili che adesso ci sembrano cose ovvie quali la luce elettrica o il telefono che hanno cambiato la nostra esistenza in modo radicale. La sfida per me resta la domanda: che cosa ci permette di rimanere umani? Ed è questa, in fondo, la vera domanda che Francesco ha voluto porre davanti ai potenti della terra.

Domani sarà a Messina per ricevere il prestigioso premio Weber del Rotary Club, qual è il legame con la sua città d'origine e qual è stata l'impronta culturale nella sua formazione? E a quale ricordo è più affezionato?

Sono andato via da Messina a 22 anni appena compiuti per entrare dai gesuiti. Ho vissuto anni di formazione curiosa e vivace, grazie alle mie scuole medie vissute all’Ignatianum, che sono state una fucina di creatività, poi all’incontro con i salesiani del San Luigi e del Domenico Savio, dove ho incontrato gli amici di una vita e ho maturato quel che sono oggi. L’esperienza universitaria nella facoltà di Filosofia è stata determinante, soprattutto grazie alla figura del filosofo Filippo Bartolone, un vero maestro. Ma ho sempre avuto uno sguardo che mi attirava «altrove». A Messina, guardando lo Stretto ho imparato l’oltre. Non amo il mare infinito, ma quello che fa vedere una sponda ulteriore. Partito da Messina sono stato in tanti luoghi in Italia e nel mondo. Un’esperienza unica è quella di seguire il Papa nei suoi viaggi internazionali, ad esempio. Con lui ho fatto il giro del mondo. Ma lo sguardo è rimasto quello che dalle colline di Sperone ammira incantato il mare e le alture al di là.

Domenica prossima a Taormina, nel corso del festival Taobuk, presenterà il suo ultimo libro, "Dialoghi sulla fede", nato da una conversazione di particolare intensità con il regista Martin Scorsese sul legame tra arte e spiritualità: partendo da questa cornice, e alla luce della sua esperienza di comunicatore, uomo di cultura e profondo conoscitore della contemporaneità, come parlerebbe oggi di fede e spiritualità ad una platea di giovani e giovanissimi?

Il mio rapporto con Martin Scorsese è nato otto anni fa, e l’argomento centrale della nostra prima conversazione non è stato il suo cinema, ma la Sicilia. Le sue radici sono a Polizzi Generosa e Cimina, anche se lui è nato a New York. Poi le nostre conversazioni si sono allargante e approfondite, ma con naturalezza, a pranzo e a cena. A volte sono stati pasti molto lunghi dove il discorso sul cinema si è intrecciato con quello sulla vita. Anzi, posso dire che abbiamo parlato della sua vita, della quale il cinema è parte integrante, ma non unica. E così i temi della fede, della grazia sono emersi naturalmente, legati alle sue esperienze concrete e spesso molto complicate, e anche segnati da errori clamorosi che lui mai nasconde. Ecco, così parlerei di fede e spiritualità, anche ai giovani: come parte della vita, anzi come espressione di un desiderio di vita e di fiducia che alimenta le nostre esperienze interpretandole, dando loro senso.

Lo sguardo oltre lo Stretto, tra filosofia e cyberteologia

Padre Antonio Spadaro, gesuita, giornalista, è nato nel 1966 a Messina, nella cui università ha conseguito la Laurea in Filosofia, con una tesi sugli «Esercizi Spirituali» di Ignazio di Loyola. Ha insegnato Lettere presso i Licei dell’Istituto “Massimo” di Roma e alla Pontificia Università Gregoriana. Dal 2011 al 2023 ha diretto «La Civiltà Cattolica», sotto il suo impulso l’antica rivista dei gesuiti ha avviato 8 edizioni oltre a quella italiana e ha attivato una forte presenza digitale e un’ampia collaborazione di scrittori gesuiti da ogni parte del mondo. È stato nominato dal Pontefice Consultore dell’allora Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali (2011-16) e del Pontificio Consiglio della Cultura (2011-22) e da gennaio scorso è sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione. È membro dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti e Ordinario della Pontificia Accademia dei Virtuosi al Pantheon. Collabora con numerose testate giornalistiche e ha pubblicato quasi quaranta volumi dedicati alla letteratura, all’arte, alla cultura digitale e alla cyberteologia , alla politica internazionale e alla vita della Chiesa. Quattro opere sono dedicate al pontificato di Francesco, tra cui la prima intervista “La mia porta è sempre aperta”.

Domani il premio Weber nell'auditorium di Gazzetta del Sud

Domani sabato 22 giugno a Messina alle 10,30 nell’auditorium della Gazzetta del Sud padre Spadaro riceverà il prestigioso premio “Federico Weber” conferitogli dal Rotary Club Messina. Dopo l’introduzione del presidente ing. Gaetano Cacciola, il notaio Michele Giuffrida ricorderà la storia del premio, mentre il past president Arcangelo Cordopatri presenterà il profilo dell’illustre ospite. Al termine dell’incontro si terrà la visita al polo aziendale di Società Editrice Sud, con le redazioni e il centro stampa.

Domenica 23 "Dialoghi sulla fede" a Taobuk

Domenica la partecipazione a Taobuk, con una giornata intensa nella location dell’hotel San Domenico, nell’ambito della 14. edizione del festival: Spadaro parteciperà alle 11 al panel sull’identità e l’impresa culturale, introdotto dall’intervento del ministro Gennaro Sangiuliano. Alle 15 il libro “Dialoghi sulla fede”, realizzato ispirandosi alle conversazioni con il regista Martin Scorsese, sarà al

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