Sempre impeccabile non perde un appuntamento: mattina, pomeriggio e sera, lei è là, incurante del sole che batte. Antonella Ferrara, presidente e direttrice artistica di Taobuk, è soprattutto l’ideatrice di una manifestazione che è cresciuta e si è fatta largo nella giungla dei festival estivi che attraversano l’Italia, riuscendo a portare in Sicilia un parterre di nomi che forse neppure lei immaginava nel 2011 quando, dopo una vita da apolide in giro per il mondo, decideva di fermarsi in Sicilia, terra dei suoi genitori, e di «portare il mondo a Taormina».
Un’intuizione a cui ha dato un seguito, proprio come in un libro, capitolo dopo capitolo. Un racconto diventato impossibile da dipanare per intero in quanto il qui e l’altrove coincidono sempre, costringendo, ahinoi, a qualche rinuncia.
Quest’anno il libro parlerà di identità, un altro argomento, dopo le libertà del 2023, necessario. Più che necessario: «Un tema a cui abbiamo iniziato a pensare già nel 2019 quando ospitammo Ian McEwan che dell’identità ha fatto uno dei cardini della sua letteratura. Ma i tempi non erano ancora maturi, allora il concetto di identità non aveva assunto le sfaccettature e i significati politici e sociali di adesso. Per raccontare le identità – sempre al plurale, perché non amiamo il pensiero unico e perché, partendo dalla letteratura, ci spingiamo in territori differenti e solo apparentemente lontani –, per esplorare l’altro da sé, ci siamo ispirati a vari filosofi, il primo dei quali è Emmanuel Lévinas che proponeva l’essere con il mondo come presupposto fondamentale dell’essere al mondo. E poi c’è Marc Augé, per il quale non esiste identità senza alterità. Anche Taobuk mette la relazione con l’altro al centro della propria indagine e, attorno a questo presupposto, cuce cinque giorni di programmazione, un mosaico di temi, ospiti, prime, anteprime, panel che raccontano il rapporto con l’alterità».
Rapido riepilogo dei nomi che da oggi, e fino al 24, porteranno alla luce con la loro presenza quella rete sottesa di relazioni tra pubblico e artisti, tra comunità e contenuti che va a stratificare una serie di esperienze culturali di rilievo, che contribuisce alla formazione dell’identità collettiva. Appunto…
«Avremo il premio Nobel Jon Fosse, faremo dialogare Jonahan Foer con Etger Keret, uno dei primi ospiti di Taobuk nel 2011: americano ebreo con origini ucraine il primo, che nel volume “Ogni cosa è illuminata”, viaggia in Ucraina alla ricerca delle sue origini e della sua identità; israeliano il secondo, uno degli scrittori contemporanei più brillanti con i suoi personaggi surreali. Due intellettuali che hanno in comune la mescolanza di culture alla base della loro stessa identità. E poi Alessandro Baricco, il premio Oscar Paolo Sorrentino, gli scrittori Aramburu e Glenn Cooper, la performing artist Marina Abramović, l’étoile Manni, la cantante Noemi, il regista Özpetek».
Iniziano oggi cinque giorni per dare il polso di un bisogno, di una necessità, individuale e collettiva: la fruizione letteraria ma non solo. Il Festival quest’anno proporrà, attraverso un nutrito parterre internazionale, un’idea di scrittura legata all’identità.
A proposito, l’orgoglio dell’appartenenza è un concetto negativo, capace di fomentare guerre?
«Può diventarlo se utilizzato per operare una sopraffazione. Questo aspetto lo affrontiamo con un grande scrittore quale è Baricco, che sarà nostro ospite e porterà in scena il suo spettacolo “Tucidide. Atene contro Melo”. Al centro c’è la guerra con un fantastico dialogo sul rapporto tra vincitori e vinti e sul ribaltamento continuo della prospettiva. Pensavamo di aver abbandonato quei muri intellettuali, mentali, economici e militari che hanno caratterizzato il secolo breve. Invece, alla guerra tra Ucraina e Russia, che dura da troppo tempo, s’è aggiunta quella tra Israele e la Palestina. Conflitti in nome delle identità, identità distorte, però. “Tutti siamo estranei a noi stessi, e se abbiamo nozione di chi siamo è solo perché viviamo negli occhi degli altri”, scriveva Paul Auster in una pagina memorabile: una bella immagine che ci riporta a tanta letteratura e tanta realtà. Siamo, insomma, l’incarnazione di un riflesso. Se l’identità designa la preziosa unicità dell’essere umano, ciò ci rende tutti unici. Dovremmo ricordarcene mentre le guerre deflagrano e offuscano la valenza positiva del concetto di identità: una tragica strumentalizzazione cui porre fine armonizzando la pluralità delle identità che compongono il villaggio globale. La soluzione per risolvere conflitti interiori o esterni, individuali o collettivi è mettersi in discussione, attraverso il dialogo e la capacità di ascolto. Ed è significativo che il dibattito sul tema identità si tenga a Taormina, in Sicilia, terra di accoglienza che ha fatto della stratificazione culturale la propria cifra, agendo per definizione da crocevia di civiltà».
La sua incursione nel cinema agli Stati generali di Siracusa di cosa l’ha arricchita?
«È stata un’esperienza felice che si è incardinata in quella ricerca che Taobuk porta avanti da anni, quella del rapporto fra turismo e cinema e letteratura, su come dalla pagina scritta si possa arrivare a un’immagine per il grande ma anche per il piccolo schermo, quello della serialità televisiva, diventata una nuova forma di narrazione. Le piattaforme attraverso le quali le fiction vengono promosse rappresentano uno strumento fondamentale e straordinario di marketing turistico-culturale, quello che una volta era il grand tour di scrittori, pittori, fotografi. Avremo Stefania Auci che racconterà “I leoni di Sicilia” e spiegherà come, partendo dalla pagina scritta, si sia riusciti a promuovere un territorio in tutto il mondo. La “The White Lotus” ha completamente modificato i flussi turistici di Taormina, portando in città i turisti americani dei bei tempi. Certo, il settore ha punti forti e criticità su cui lavorare ma la Sicilia ha le carte in regola per diventare un hub cinematografico, generando occupazione e diventando attrattore turistico di flussi che vedono nell’Isola un nuovo modo di fare turismo con un indotto primario generato dalle produzioni che scelgono l’Isola, e secondario grazie a quel turismo che viene qui a caccia dei luoghi delle fiction».
Tre eventi imperdibili…
«Il Gala, lo spettacolo di Alessandro Baricco e il progetto espositivo “Le Ore” di Luigi Ontani, in collaborazione con il Museo MAXXI. Ma anche molto, molto altro».
Cosa augura a questa edizione di Taobuk?
«Di poter offrire al pubblico la magia di sempre, quella che siamo riusciti a creare in questi anni, quel clima che abita solo in questi giorni e solo a Taormina, quello che ti dà la netta sensazione che qualcosa di irripetibile stia accedendo. E lo dico senza autoreferenzialità perché vivo assieme al pubblico quell’emozione. E con tutta l’affollata squadra del Festival: Taobuk è un’impresa corale che si fonda sull’apporto di tanti professionisti che mettono l’anima e che ci credono. Sembra di ritornare ai tempi della “Dolce vita”, che io per motivi anagrafici non ho vissuto ma che ho respirato nelle pagine degli scrittori che mi hanno formata. Fondamentale anche il contributo e il sostegno della Regione siciliana, degli sponsor. Mi piace considerarlo un atto di fede collettivo nella cultura e nel futuro degli eventi culturali».
A che punto è il suo sogno di portare il mondo a Taormina. Non male si direbbe…
«Realizzato, con grande soddisfazione. E mi auguro di riuscire a mantenere tanta vitalità. Taobuk ogni anno ha la capacità di capovolgere i suoi algoritmi, per sorprendere il pubblico e anche noi stessi che ne costruiamo la trama e che abbiamo sempre voglia di nuove sfide».
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