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La lingua deve accogliere tutti. A colloquio con gli illustri linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota

Le linee-guida dell’ultima, rivoluzionaria edizione del Vocabolario Treccani, che guarda alla varietà e complessità del nostro mondo di oggi

La nuova edizione del Vocabolario Treccani diretta da Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, che i due illustri linguisti presenteranno a Messina giovedì e venerdì nell’ambito dell’incontro «Parole per accogliere, parole per comunicare», si colloca nel solco della grande tradizione lessicografica dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, ma contiene molti elementi di novità.

«Nel Treccani – dicono i due autori – le spiegazioni di una parola sono sempre autosufficienti: dando definizioni rigorose, ma semplici e comprensibili, di tutte le parole, abbiamo eliminato qualunque forma di cortocircuito lessicografico, evitando che lettori e lettrici rimbalzassero da una voce all’altra. Per i termini tecnici e scientifici, pensando soprattutto alla scuola, ci siamo impegnati a rispettare il primo diritto di chi consulta un vocabolario, che è quello di capire immediatamente i significati. E abbiamo dato grande spazio alla grammatica, riscrivendo tutte le voci grammaticali, ricordando che la norma viene rimessa continuamente in discussione dall’uso. Ci siamo impegnati ad accogliere esempi tratti dall’uso reale della lingua, basandoci su materiali autentici tratti dalla rete, dai giornali, dalla trattatistica, dai blog, da documenti, libri, commenti (corretti!) nelle reti sociali».

Ma aver cercato di allestire un vocabolario inclusivo è la novità più importante che connota struttura, forma e contenuto del dizionario...
Della Valle-Patota:«Da che vocabolario è vocabolario, degli aggettivi e anche di molti nomi è registrato solo il maschile: l’aggettivo “bassa”, il nome “chirurga” non sono registrati autonomamente, perché l’uno considerato “il femminile di basso” e l’altro, nei rari casi in cui viene accolto, “il femminile di chirurgo”. Scelte, con le persuasioni che ne sono alla base, fondate non sulla struttura linguistica dell’italiano, ma su una tradizione storico-culturale patriarcale, che risponde a un’analoga visione del mondo e della società. Il Nuovo Vocabolario Treccani è il primo che non presenta gli aggettivi e i nomi privilegiando un genere. Precisiamo tuttavia che l’apertura della voce con la forma femminile è da ascrivere non a una discutibile “cavalleria lessicografica”, ma al solo rispetto dell’ordine alfabetico: per registrare coppie come lettore/lettrice, abbiamo lemmatizzato prima la forma “lettore” e poi la forma “lettrice”. L’attenzione all’inclusione e al rispetto delle diversità ci ha suggerito poi di eliminare all’interno di definizioni ed esempi i cosiddetti “stereotipi di genere” e segnalare le parole lesive della dignità di qualunque persona. Non le abbiamo eliminate, perché avrebbe significato ignorare la realtà, ma sottolineato che si trattava e si tratta di parole o formule offensive».

Una lingua che si apre all’altro e alle novità è una lingua accogliente.
Della Valle: «Per fortuna già da molti anni c’è una nuova sensibilità nei confronti dell’uso della lingua. È il risultato, sul piano linguistico, delle rivendicazioni delle donne per la parità e delle campagne per il rispetto nei confronti di tutte le minoranze. Le parole, se usate male, possono ferire, offendere, mortificare. Se saremo capaci, in famiglia, a scuola, nei mezzi di informazione, di far crescere nelle nuove generazioni l’attenzione a una lingua rispettosa e non violenta, avremo dato un contributo all’uso di una lingua accogliente. La lingua italiana, con la sua storia millenaria, ha dimostrato una grande capacità di accoglienza: verso le parole straniere, le novità scientifiche e tecnologiche, le mode e le tendenze che l’hanno resa così ricca e viva».

Il maschile sovraesteso è corretto o denota maschilismo e fossilizzazione della lingua?
Patota: «Il maschile sovraesteso non è un errore e sicuramente non è segno di un atteggiamento maschilista ma, altrettanto sicuramente, a questa soluzione io preferisco quella dello sdoppiamento, che può sostituirlo. Forme come “gli studenti”, che non sono assolutamente sbagliate, potrebbero essere utilmente sostituite da “le studentesse e gli studenti”. E la scelta che abbiamo fatto nel Treccani è in questa direzione. Una soluzione faticosa? Certamente; credo, però, che sia una fatica ben spesa. Si potrebbe obiettare che rende il testo più pesante: se è vero nel caso di un testo creativo, è altrettanto vero che i testi prodotti dalla pubblica amministrazione sono già appesantiti da burocratismi e tecnicismi. Se si provasse a snellirli eliminando parole e frasi inutilmente complesse, l’adozione dello sdoppiamento sarebbe meno onerosa».

In quale modo l’italiano della rete sta influenzando la lingua italiana?
Della Valle: «Per sapere se davvero la lingua della rete ha influenzato, e in che modo, l’italiano, ci vorranno molti studi, molte analisi e molto tempo. Anche se in rete circola di tutto, tendo a vedere questo fenomeno come una nuova possibilità data a milioni di persone non abituate a scrivere, che così esprimono le proprie opinioni nei social senza soggezione nei confronti della grammatica. Moltissimi cittadini finita la scuola dell’obbligo smettevano del tutto di esercitare la lingua scritta, perdendone progressivamente la competenza. Attraverso la rete hanno avuto una spinta a esercitarsi di nuovo».
Parlare e scrivere correttamente si apprende dalla scuola. Come impostare oggi la didattica dell’italiano?
Patota: «Non mi aggiungo al coro delle persone che, il più delle volte senza una competenza specifica in didattica dell’italiano e in linguistica italiana, lamentano la perdita di qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento della nostra lingua nelle aule scolastiche. La cosa malinconicamente divertente è che queste dichiarazioni sconsolate sulla incapacità di insegnare e usare l’italiano a scuola sono vecchie di sessanta, settant’anni. Ho trovato testi risalenti alla metà del secolo scorso con denunce accorate di una scuola in cui non si insegna più, si regalano i voti, si promuovono tutti e l’italiano decade. Non sono poi d’accordo sul fatto che la pratica della scrittura dell’italiano sia guastata dalla scrittura in rete, perché l’italiano della rete e l’italiano della scuola hanno due grammatiche distinte. Non c’è bisogno di scoraggiare l’uso della scrittura in rete; basta avvertire che altra cosa è l’italiano della rete, altra l’italiano di un testo di registro medio-formale prodotto a scuola».

Qual è lo stato della lingua letteraria di oggi?
Della Valle: «Mai come oggi la letteratura è libera di esprimersi e negli scrittori e nelle scrittrici più giovani si riflette la ricchezza della lingua italiana contemporanea. La lingua letteraria non è più rappresentata da un modello a senso unico: in quella contemporanea troviamo i dialetti, i gerghi, la lingua parlata, i neologismi, ma anche le parole del passato, costruzioni sintattiche elaborate, scritture raffinate e colte. A molti lettori, legati alla “bella pagina”, questo non piace, ma a noi linguisti offre materiali da studiare molto interessanti proprio per la grande varietà, che esprime bene la situazione della società italiana attuale».

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