Era una stanza tutta per sé quella nella quale Letteria Montoro, nata nel 1825 a Messina, dove morì nel 1893, esplorava la propria storia personale e quella di intere generazioni di donne usando la scrittura, per spostare il mondo un po’ più in là, come tante altre per le quali l’esercizio della letteratura è stato uno strumento di liberazione, o almeno di resistenza. Uno sguardo obliquo e trasversale quello femminile che dovunque lascia aperta la questione dell’essere donna in una società in cui il ruolo e l’immagine femminili sono asserviti al matrimonio, alla maternità, alla famiglia, all’educazione religiosa, alle convenzioni sociali. Emarginate in molti casi, e non solo per motivi famigliari, all’ombra di padri, mariti e padroni, magari congelate in un’opera d’arte o letteraria, dove potevano essere esposte, ma più spesso rimosse dalla memoria, anche perché vissute in luoghi periferici, lontani dai centri culturali più importanti: come nel caso della Montoro (concittadina, nella città dello Stretto, di Nina da Messina, ritenuta la prima donna italiana a scrivere versi nella lingua volgare), la cui memoria si sgretolava assieme alla sua lapide nella notte obliosa del terremoto del 1908. Ma ci sono cose che conosciamo o riconosciamo solo perché ce le mostra la letteratura: così è avvenuto per la Montoro, che grazie alla una specialissima “famiglia letteraria” di “strettesi” e non solo è riaffiorata dall’oblio. Forse arriva sempre un momento in cui le cose decidono di essere ricordate, con una concomitanza di circostanze che dice molto sulla storia letteraria al femminile. Un giro virtuoso con un obiettivo comune, quello della scrittrice Nadia Terranova, della docente Daniela Bombara e di tre donne editrici che hanno incontrato la Montoro sulla loro strada, forse “scelte” da lei perché tornasse a “vivere”. Insieme, introdotte da quel libraio di lunga esperienza che è Salvo Trimarchi, e con le belle letture di Valentina Gangemi, Terranova, Bombara e due delle editrici hanno presentato alla Feltrinelli di Messina «Maria Landini», il romanzo più noto di Letteria Montoro, stampato nel 1850 dalla Tipografia Clamis e Roberti di Palermo, e ristampato, con prefazione di Nadia Terranova e postfazione di Daniela Bombara, dalla casa editrice “L’altraCittà” di tre coraggiose libraie di una libreria indipendente di Roma, storiche di formazione: Lucilla Lucchese, Silvia Dionisi e Arianna Ballabene. «Con “Maria Landini” – hanno detto Dionisi e Lucchese – per la cui copertina Valentina Marino ha progettato graficamente un moderno sfondo dai toni pastello sul quale si staglia un profilo tutto bianco di donna, abbiamo inaugurato la collana “Sabbie”, per tirar fuori dalle sabbie del tempo un testo dimenticato, peraltro trattato con grande rispetto nei confronti della lingua e dello stile propri dell’epoca in cui è stato scritto». Sulle tracce della Montoro le editrici erano state messe da Terranova e Bombara. La prima, messinese (già nella cinquina del Premio Strega 2019 con “Addio Fantasmi”, Einaudi, vincitrice dello Strega Ragazze e ragazzi 2022 con «Il segreto», Mondadori, oltre ai numerosi premi e riconoscimenti per le sue opere narrative e saggistiche), ha incontrato la Montoro «nel tempo della “cova” di “Trema la notte”. L’avevo scoperta – ha detto Terranova – nella rubrica “Via da Messina”, della testata di informazione “Lettera Emme”, dedicata a quei personaggi illustri cui la città aveva dimenticato di intitolare una strada. E poiché in quei giorni mi stavo concentrando sul personaggio di Barbara, la ventenne protagonista del mio romanzo che affida ai libri le parole che non riesce a dire al padre, e ha il sogno, spezzato dal sisma del 1908, di diventare scrittrice, pensai di “farle leggere” quel libro (che nel frattempo mi ero procurata) che raccontava di una ragazza sfuggita a un matrimonio combinato, proprio come Barbara, che la sera precedente il 28 dicembre voleva opporsi a un’unione indesiderata». Da un’altra parte, la ricerca del riconoscimento e non solo della conoscenza spingeva una docente e una studiosa messinese, Daniela Bombara, ad approfondire la storia di Letteria Montoro: «Durante le mie ricerche in biblioteca fui attratta da un libro senza copertina che non era stato catalogato. Cominciai a leggere, era “Maria Landini”, e a cercare. A cominciare dalla lapide infranta che si trovava nella cella sotterranea della Galleria monumentale del Gran Camposanto di Messina (quella che Barbara in “Trema la notte” va a vedere all’indomani del terremoto) e dal suo epitaffio che tra le altre lodi la indicava come “donna di spiriti liberali”, sintagma prezioso come l’altro che recitava dell’esilio scelto per seguire i fratelli, cosa inusuale per una donna, anche se rivoluzionaria come Letteria». Quanto bastava per cercare tra le testimonianze e i profili biografici, minimi in alcuni casi ma importanti come quello, tra gli altri, di Gaetano Oliva (1873-1938) che includeva Letteria Montoro, unica donna, tra i “Messinesi illustri” e lodava la bellezza e lo spirito di sacrifico di questa «poetessa nata, scrittrice forbita e gentile che, se le cure domestiche glielo consentivano, affidava i suoi sentimenti alla carta». Ma – ha continuato la Bombara – , Gaetano La Corte Cailler (1874-1933) la indicava in «La donna in beneficenza a Messina» non solo come «poetessa e scrittrice erudita», ma anche «esule per la redenzione della patria». Un dato in più che rivelava la sua natura di ribelle, e infatti aveva partecipato ai moti risorgimentali messinesi del 1848 scrivendo per «L’Aquila siciliana» e soccorrendo i combattenti, anche se nelle parole dello storico Francesco Guardione (1848-1940) era una sorella vissuta all’ombra del fratello Francesco, sacerdote, direttore del Collegio Peloritano e direttore spirituale del liceo ginnasio “Maurolico”. Letteria, infatti, ha continuato la Bombara, «ebbe una produzione letteraria intensa e varia, che spaziava dalla prosa, novelle e romanzi, alla poesia lirica, drammatica, civile, patriottica, alla collaborazione giornalistica con testate oltre i confini messinesi, e con iniziative nazionali dopo l’Unità, dalla “Strenna femminile dell’Associazione filantropica delle Dame Italiane” alla silloge poetica “Ghirlanda della beneficienza” al volume “Candia” pubblicato in sette lingue a cura del Comitato Italo-Ellenico di Messina per finanziare la rivoluzione cretese. E poi, unica poetessa messinese a commemorare il centenario di Dante del 1865 con un componimento poetico. Scritti sparsi mai riuniti in volume. E forse, annotato sia da Guardione, sia dall’editore Treves, avrebbe pubblicato un altro romanzo, sconosciuto». Aver ridato voce a Letteria Montoro, aver riflettuto sulle suggestioni del suo romanzo, con trame e sottotrame, dal capovolgimento del topos della fanciulla obbligata al matrimonio combinato agli aspetti gotici ed esotici della narrazione, aver trovato sorprendenti punti di contatto tra il gotico di «Trema la notte» e quello di «Maria Landini», per confermare la complicità virtuosa dell’attenzione femminile, aver restituito vividezza ad altre scrittrici siciliane soffocate dall’oppressione patriarcale, come Rosina Muzio Salvo, Concettina Ramondetta Fileti, Mariannina Coffa Caruso, solo per citarne alcune, aver dilatato la parola tramutandola dalla finzione narrativa alla condizione esistenziale delle scrittrici, in una rete di intelligenze femminili, ha aperto sicuramente nuove prospettive per altri illuminanti “women’s studies” sulle letterate siciliane tra Ottocento e Novecento.