L’Astrolabio è stato uno dei giornali che hanno segnato storicamente gli anni Sessanta italiani. Fondato da Ernesto Rossi e Ferruccio Parri, che ne fu a lungo direttore, prima quindicinale e poi settimanale, è stato una voce politica ascoltata e anche temuta, proprio per la qualità dei contenuti. Accanto a Parri (antifascista, partigiano, costituente e poi senatore a vita), per circa quattro anni il messinese Luigi Ghersi, che noi conosciamo come eccellente pittore e scultore, fu il vicedirettore responsabile, autore di articoli e inchieste importanti, come quella condotta sul campo subito dopo la morte di Che Guevara. Un’avventura giornalistica che adesso è possibile seguire passo passo grazie all’iniziativa della Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”, che ha messo in rete tutte le annate della rivista, liberamente consultabili (astrolabio.senato.it).
Ma ci fu un altro artista che, arrivato dallo Stretto, ha lasciato la sua impronta sul giornale, come disegnatore soprattutto, ma anche come grafico impaginatore. Una storia poco conosciuta anche nella sua città e che passa da un altro messinese illustre. Il disegnatore-impaginatore dell’Astrolabio è Nino Cannistraci, 87 anni ben portati e sempre in piena attività creativa. Dopo essersi laureato in Scienze Politiche, nonostante il suo desiderio di dedicarsi totalmente alla pittura, nel 1960 riuscì a trasferirsi a Roma, con la scusa di frequentare un corso triennale di cartellonistica, che gli era stato suggerito appunto da un messinese a Roma, in procinto di diventare famoso come uno dei padri riconosciuti dell’avanguardia teatrale italiana: Carlo Quartucci. Ma il caso volle che quel corso si trasformasse in qualcos’altro. Allora non c’erano né telefonini né social e non era facile ritrovare amici, pur consolidati, in una città grande come Roma.
«Nel 1963 – racconta Cannistraci – in una trattoria incontrai Luigi Ghersi, con il quale avevamo fatto pittura e mostre a Messina. Posso dire che lo conoscevo da sempre. Mi propose subito di andare ad abitare da lui, così potevamo dividere le spese, e io accettai al volo. Abitavamo in via Baccina, vicino ai Fori Imperiali». Ma presto sarebbe arrivata un’altra proposta: «Dopo l’uccisione di Kennedy, nel novembre 1963, Ghersi mi propose di disegnare per “L’Astrolabio” il volto di Lee Oswald, il suo assassino».
Cominciò così un’avventura durata fino al 1968, quando la rivista cominciò a pubblicare fotografie invece che disegni. I ritratti di Cannistraci (che non sono mai caricature) attraversano il periodo degli Anni Sessanta con i personaggi più importanti e ben ricordati anche ai nostri tempi, disegnati con un segno frastagliato e sempre significativo, in cui, a parte la riconoscibilità perfetta dei visi, colpisce l’espressione, che li rende sempre vivi e ancora più somiglianti, quasi che quelle teste, da sole, fossero (e siano tuttora) capaci di farci immaginare un intero corpo in movimento. Penso, per esempio, ai ritratti di Paolo VI, Aldo Moro, Emilio Colombo, Giorgio La Pira (il sindaco di Firenze, anche lui legato a Messina, dove aveva trascorso la giovinezza). A parte quelli in copertina, molti introducevano articoli firmati da Parri o da Ghersi.
«Usavo soprattutto la biro nera – spiega Cannistraci – ma anche la matita e la china. È stato molto importante per me perché il ritratto è l’ideale per lo studio della forma, per l’approccio alla figura. Anche per questo, in quel periodo frequentavo a Roma la Scuola libera del nudo, dove incontravo i più famosi pittori che operavano nella Capitale». Dalla sua biro passò il mondo, italiano e non: da Churchill a De Gaulle, da Ho Chi Minh a Togliatti, da La Malfa a Mancini e moltissimi altri. Intanto Cannistraci, dopo l’assunzione come grafico-impaginatore e dopo tre anni di coabitazione con Ghersi, si era trasferito in una casa in via Panisperna, la storica strada dove aveva operato il gruppo di fisici capitanati da Enrico Fermi. Ma non durò molto: allettato da una cattedra nella Scuola d’Arte, che allora era sul viale della Libertà, tornò a Messina e si dedicò all’insegnamento, fino alla pensione.
Ghersi mi disse di aver sempre disapprovato quella sua decisione, non per niente per lui Cannistraci era l’unico artista con cui sentiva di avere un debito figurativo. Probabilmente Ghersi aveva ragione: «Aiutato da lui, feci un’importante personale a Roma nel 1973 per la serie Incontri d’Arte. Fu un grande successo». Ma poi Cannistraci, schivo com’è, è rimasto a dipingere in riva allo Stretto: «Ho sempre continuato anche a disegnare, per me è un’attività quotidiana, la vivo come una pratica Zen».
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