«Tra i quattro romanzi con Emma protagonista, questo è quello cui sono più attaccato. È un’Emma più fragile, anche se sempre determinata nel suo dovere. In Emma c’è una parte di me, quella che vive crisi personali, e c’è pure la mia parte femminile. Attraverso i personaggi femminili sono riuscito a capire tante cose di me e degli altri. Se solo gli uomini lo capissero…». Di Emma Bonsanti, sostituta procuratrice a Bari, parliamo con Aldo Pagano, lo scrittore che l’ha fatta nascere come personaggio e adesso ritornare in «Erba d’annata» (Piemme): un “giallo” socio-antropologico, più che un noir, com’è nello stile di Pagano, nel quale il delitto, sempre in primo piano – e stavolta si tratta della morte di Giorgio, un giovane in gamba della Bari bene – mette in moto una sorta di qûete attraverso la quale si legge della crisi della famiglia, dell’amicizia, dell’amore, della borghesia e dei suoi “segreti”. «Se le lettrici, che sono quelle che mi seguono di più, e i lettori decidono di leggere, sappiano che troveranno questi temi insieme alle indagini di Emma», dice Pagano, palermitano che ha vissuto a Messina per tanti anni, ambienta i suoi romanzi a Bari e oggi vive tra Como e Milano. Questo è il quarto romanzo del “ciclo” di Emma Bonsanti, dopo «La trappola dei ricordi» (2015), «Motivi di famiglia» (2019) e «Caramelle dai conosciuti» (2021), tutti editi da Piemme. Ma, dopo Palermo, a Messina lo scrittore tornerà oggi pomeriggio per presentare “Erba d’annata”, alle 18 al Mondadori Ciofalo Bookstore. E così, torna Emma dopo due anni da “Caramelle dai conosciuti”. Com’è questa Emma? «È un’Emma cambiata come tutti noi. Due anni pesanti per il nostro Paese, tra disagi economici e disagi interiori, tra smarrimenti e perdita di progettualità, tra conflitti individuali e del pianeta, tra parole che si consumano e che consumano. Ecco, Emma, ma anche Giorgio, come personaggi sono tangenzialmente colpiti da tutto questo; anche loro tra stress e conflittualità non trovano gli stimoli per affrontare le situazioni di disagio, sentono su di sé il malessere proprio del nostro sistema occidentale». Giorgio, sebbene morto sin dall’incipit, come personaggio fondamentale di questo romanzo è più vivo che mai. «Emma, Giorgio, il sovrintendente capo Lorusso sono vivi e veri sì, perché i lettori e le lettrici in particolare li fanno vivere e crescere, partecipano del loro carattere, dei dubbi, dei pensieri, intuiscono i loro stati d’animo e i loro cambiamenti, si può dire che li costruiscono. Il “giallo” è il migliore strumento per analizzare il sociale, il costume, il male di vivere, le relazioni umane e il disagio». A proposito di cambiamenti, si capisce bene che Emma è, pur con la sua riconoscibilità, un personaggio in evoluzione… «Lo è, cambierà ancora, e questa è una grande conquista della “persona” Emma. Nel primo romanzo era molto idealista. Credeva fortemente in una sinistra vissuta attivamente sin da ragazza, adesso guarda con disincanto al presente e qualche nostalgia al passato. Tiene fermo il timone del senso del dovere cui tiene molto anche se in questo periodo è un po’ depressa, lotta con i suoi fantasmi, si lascia andare anche nella cura di sé. E dunque anche l’indagine e la narrazione procedono lentamente. Poi però, quando si riprende, tutto va più veloce e insieme ai suoi si sciolgono anche i nodi del caso». In “Erba d’annata”, un titolo antifrastico che gioca con “dannata”, c’è un argomento “difficile” che occupa tutto il romanzo: l’ “erba”, la sua coltivazione, il suo uso, i rave. Provocatorio? «Un argomento che non trovo difficile né imbarazzante, forse provocatorio sì. Mi sono reso conto, camminando per Milano, annusando l’aria, quanto uso se ne faccia. Non parliamo di eroina o altre droghe pericolose che si trovano senza alcun controllo nelle discoteche e altrove, ma di “erba” per la quale mi sono documentato presso persone competenti. E poi volevo affrontare l’ipocrisia che gira attorno ai rave e ai giovani che vi si riuniscono e le menzogne costruite su di essi da certe politiche, con le idee conseguenti che se ne sono fatte persone anche istruite e dotate di ragione. Giorgio muore durante un rave ma non per il rave o per l’erba, viene ucciso per altri oscuri motivi d’interesse». Ed Emma ne viene a capo. Ma come fa uno scrittore a sostenere la serialità delle sue storie e dei personaggi? Un impegno gravoso che, immagino, richiede una programmazione a lungo termine per mantenere la riconoscibilità del personaggio e inserire ogni volta tratti di originalità e trame diverse. «Premetto che Emma è nata dentro di me ancor prima che ne scrivessi. Ripeto sempre che è nata dall’insieme dei caratteri di tre donne che nella mia vita passata ho amato e lasciato per strada, per diventare una sulla carta. Scrivevo delle cose per me stesso ma quando mi chiesero di pubblicare, all’inizio andavo a braccio, ad istinto, assecondando quella forza creativa che quando arriva devi gestire. Poi, certo, quando mi è stato detto che il personaggio doveva diventare seriale, sono stato invitato a programmare. Anche se, in realtà, benché voglia bene ad Emma, sto pensando a un romanzo diverso».