Un romanzo, nero o bianco che sia, è sempre un’indagine intorno al “mistero uomo” secondo Dostoevskij, e nei romanzi di Donato Carrisi, autore di bestseller internazionali, tradotti in più di 30 lingue (tutti pubblicati da Longanesi con una vendita di milioni di copie), l’indagine nel “mistero uomo” c’è tutta, con uno scavo costante e profondo nell’abisso della psiche. Carrisi, pugliese, studi di giurisprudenza e specializzazione in Criminologia e scienza del comportamento, è anche regista e sceneggiatore di serie televisive e per il cinema; anzi, dopo aver iniziato come scrittore di teatro a 19 anni, è proprio con la fiction che s’impone all’attenzione del grande pubblico. Poi nel 2009 il suo primo romanzo, “Il suggeritore”, vincitore del Premio Bancarella, e da lì il suo cammino nel noir, nel mistery e nel thriller sembra quasi obbligato. Da osservatore instancabile dello spettacolo umano, Carrisi, che domani sarà a Messina in un incontro organizzato dalla libreria Bonanzinga, dispiega la sua creatività nell’inventare situazioni e la scrittura avvincente nel suggerire atmosfere e nel tessere trame, come in “La casa delle luci” terzo romanzo della trilogia del ciclo di Pietro Gerber. Carrisi, che all’estero ha vinto prestigiosi premi come il Prix Polar e il Prix Livre de Poche in Francia, e in Italia ha avuto nel 2018 il premio David di Donatello come miglior regista esordiente con “La ragazza nella nebbia” dall’omonimo romanzo, con Gerber inventa un nuovo affascinante personaggio, un ipnotista, il migliore di Firenze, che addormenta i bambini per entrare nella loro mente e far emergere contenuti psichici nascosti. Secondo Gerber «le storie che riguardano i bambini toccano nel profondo anche quando sono inventate» e per lui che studia l’anatomia della psiche, nonostante il suo tempo poggi sull’inquietudine, quando si presenta il caso di Eva, una bimba che parla con un suo amichetto immaginario e abita sola con una governante e una ragazza alla pari in una grande casa sulle colline, si convince a seguirla, benché da tempo la sua reputazione sia in rovina e viva in una solitudine cui si è assuefatto, mentre è in lotta con i suoi demoni personali. Carattere complesso quello di Gerber, sin dal primo romanzo della trilogia “La casa delle voci” (2019) cui ha fatto seguito “La casa senza ricordi”; figlio di un fine psichiatra, da bambino “è morto” per qualche secondo, dopo una rovinosa caduta nella vecchia casa di famiglia, dove «i ricordi dell’infanzia sembrano aspettarlo in agguato» quando vi si reca. Casa di giochi spensierati di estati irripetibili, ma anche legata a un fatto oscuro che lo ha segnato, casa in cui i profumi della madre, morta prematuramente, essenze di spettri che aleggiano nelle stanze, si uniscono ai suoi fantasmi. In questo ciclo, che colpisce per la presenza nei titoli, certamente non senza motivo, della parola “casa” unita a «voci, ricordi e luci», i ricordi dell’ipnotista lasciati nel passato sembrano riemergere attraverso Eva. Le cose dell’infanzia galleggiano nella psiche e sembra essere la ragazzina che vive isolata senza genitori a entrare nella periferia della coscienza di Gerber con una sorta di immaginazione attiva junghiana. Eva sembra sapere molte cose della sua infanzia attraverso il suo amichetto immaginario, ma l’ipnotista, benché suggestionato, non cede a questo autoinganno e mette in movimento la sua indagine, doverosa benché dolorosa. Come negli altri romanzi di Carrisi, del ciclo di Mila Vasquez e in quello di Marcus e Sandra, le trame labirintiche di cui è abilissimo tessitore (e “L’uomo del labirinto” s’intitola il romanzo da cui è stato tratto il film omonimo), attraverso l’inganno, il male, il mistero, l’abisso, sembrano essere realtà ordinaria, però nel ciclo di Gerber e specialmente in questo ultimo romanzo le trame sembrano essersi asciugate, più pulite rispetto alla vertigine cui ha abituato i suoi lettori.