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Emilio Isgrò e il suo personalissimo amarcord. Conversazione con l’artista e poeta di Barcellona

E' stato uno dei 200 artisti di tutto il mondo ricevuti da Papa Francesco nel giugno scorso. Il comune di San Pier Niceto, di cui è originario, gli conferirà la cittadinanza onoraria

Conversare con Emilio Isgrò è come attraversare la storia dalla seconda metà del Novecento in poi, con un elenco più unico che raro di personaggi (di tutto il mondo) incontrati a distanza molto ravvicinata. Artista concettuale e pittore, poeta, drammaturgo, scrittore, regista, giornalista e anche inesauribile e dotto conversatore, famoso soprattutto per le sue “cancellature”, Isgrò, quasi 86 anni, è nato a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) e, nel suo cammino internazionale, pur risiedendo sempre a Milano dalla fine degli anni Cinquanta, tranne i sette anni trascorsi a Venezia quale responsabile delle pagine culturali del “Gazzettino”, è rimasto molto legato alla sua Sicilia, che ha sentito e sente come fonte della sua fervida creatività.

Tanto che nel nostro incontro, nel suo studio-archivio-museo, non sono stati né l’arte né il teatro né la poesia il principale argomento, bensì i ricordi della sua infanzia e della sua adolescenza, non solo a Barcellona ma anche a San Pier Niceto, il paese collinare in cui era nato il padre ed erano vissuti i nonni. L’occasione è data dalla cittadinanza onoraria che quel Comune consegnerà domani a Isgrò con una cerimonia solenne, accompagnata da una tavola rotonda, in cui l’artista verrà celebrato in presenza in tutti gli aspetti della sua attività.

Di nonno Emilio, Isgrò potrebbe parlare per ore: «Credo di aver preso molto da lui – dice –, a cominciare dalla capacità di contraddire. Era a suo modo un personaggio, parte attiva della Società Operaia, con un’ispirazione progressista mantenuta prima, durante e dopo il fascismo, dove c’era pure una filodrammatica che metteva in scena Pirandello e Rosso di San Secondo. Artigiano, faceva mille altre cose e ricordo che a un certo punto divenne direttore della Singer a Barcellona».

E suonava anche…
«Nella banda di San Pier Niceto c’erano sia mio nonno sia mio padre, il primo alla grancassa e l’altro, fin da bambino, al la bemolle, un piccolo clarinetto. Mio padre Peppino si lamentava perché diceva che i colpi di grancassa erano fuori tempo, dato che il nonno era sordo di guerra, dopo la permanenza in trincea durante il primo conflitto mondiale».

Già, e lui negava, ma spesso era impegnato in situazioni impensabili...
«Aveva il desiderio di sdrammatizzare la vita con scherzi e stranezze. Quando rientrò dalla guerra, non avvertì nessuno e si presentò in paese vestito da straccione per non essere riconosciuto. Solo di notte bussò a casa e quando nonna Maria (dagli occhi verdi e dai capelli d’oro, perfetta normanna di Sicilia) aprì sospettosa, si accese un fiammifero davanti al volto e disse: “Sono tornato”. Un’altra volta si finse morto, perché, spiegò, voleva vedere come reagivano moglie, parenti e amici. D’improvviso si alzò e annunciò: “Sto meglio”».

E se ne potrebbero raccontare molte altre.
«Tantissime, ne ricordo solo due. Una notte, cominciò a girare con una lanterna in mano, alla maniera di Diogene. Ai compaesani che gli andavano dietro, disse che cercava una pietra e quelli immaginarono qualcosa di prezioso. Dopo averli fatti camminare a vuoto per un po’, disse che si trattava di una pietra grande come una macina da mulino, rivelando lo scherzo. Durante il fascismo, in un Carnevale si travestì da prete, cosa vietata, e fu arrestato dai carabinieri. Fu rilasciato perché, non so come, li convinse che in realtà il suo personaggio era solo un sacrestano».

Lei è rimasto affezionato a San Pier Niceto.
«Sono indimenticabili le estati trascorse per intero in quel paese. Eravamo ospitati da mastro Santo, calzolaio e contadino. A me e ai miei fratelli di notte piaceva dormire sulle foglie di mais, che facevano grandissimo rumore. Non so come gli altri ci sopportassero. Sono nato e abitavo a Barcellona, ma la mia famiglia era intesa come “i sampiroti”. Tutta gente semplice, con un grande amore per la cultura. Il nonno leggeva di tutto, e anche a casa mia c’erano tanti libri. Ricevere la cittadinanza onoraria è un onore e un piacere».

Suo padre era soprattutto un musicista e l’aveva fatta diventare un presentatore.
«Sì, suonava e componeva. Aveva un’orchestrina e girava nelle balere siciliane. Da ragazzino andavo con lui e annunciavo le canzoni. Mi divertivo molto».

Come ricorda nel suo libro “Autocurriculum”, sua madre Elisabetta Mazzullo era molto avanti rispetto a quei tempi siciliani.
«Quando una ragazzina sedicenne ebbe un figlio da un uomo sposato (quasi sicuramente si trattava di stupro), fu isolata come se fosse la peggiore delle streghe. Mia madre, invece, autorizzò platealmente mia sorella Maria ad accompagnare la “disonorata” nelle sue passeggiate in bicicletta».

Quali sono i suoi rapporti con Barcellona? C’è stata qualche incomprensione.
«I barcellonesi sono nel mio cuore, cittadini sensibili e attenti alla cultura. Forse questo loro aspetto non sempre viene ben rappresentato dalle varie amministrazioni comunali. Ricordo che quando qualcuno, chissà perché, voleva distruggere il mio “Seme d’arancia”, donato alla città, ci fu l’opposizione di molti, tanto che la scultura è rimasta al suo posto. Avrei voluto creare una Fondazione, cui avrei ceduto tante mie opere. Ma ho trovato solo difficoltà, come se ci fosse una sorta di insensibilità. Stanco e scoraggiato, ho rinunciato: forse non si sono fidati di me. Eppure tanti giovani artisti mi hanno detto di aver cominciato proprio vedendo il mio Seme, che evidentemente ha dato i suoi frutti».

A Barcellona sono cominciate molte amicizie importanti.
«Sì. Penso a Vincenzo Consolo, che frequentava il liceo Valli. Io entravo e lui era all’ultimo anno. Non passava inosservato. Poi l’ho ritrovato a Milano e siamo diventati grandi amici, tanto che ho realizzato la copertina del suo “Il sorriso dell’ignoto marinaio”. Come a Milano conobbi colui che per me è stato più di un fratello: Basilio Reale (di Capo d’Orlando), poeta e psicoanalista. Devo a lui le mie prime pubblicazioni poetiche. C’è ancora una cosa che voglio raccontare».

Sentiamo.
«Un’immagine di gioventù. Ricordo un giovane in montgomery e con i capelli scompigliati dal vento. Fu la prima volta che vidi un poeta e decisi che anch’io lo sarei diventato. Lui era Bartolo Cattafi, che nel suo periodo milanese divenne mio amico. Poi ogni volta che tornavo in Sicilia, andavo a trovarlo. Sa, mi ha riportato a ricordi belli e vorrei aggiungere ancora qualcosa».

Desiderio accolto.
«Voglio citare l’avvocato Salvatore Trifirò. Da ragazzi lo chiamavamo Salvatorino e quando passava davanti a casa mia per andare al liceo (io ero ancora alle medie), mia madre mi diceva: “Studia, studia e diventerai il primo come Salvatorino”. Aveva ragione. Ritrovai Trifirò a Milano grandissimo avvocato ed è stato lui a farmi vincere la causa contro Roger Waters dei Pink Floyd, che aveva plagiato le mie cancellature per la copertina di un suo disco. La cosa fece molto scalpore».

A Barcellona c’erano anche i Pirandello…
«Era un ramo messinese della famiglia del grande drammaturgo. Posso dire di essere cresciuto anche a casa loro, dove mi davano tanti libri da leggere. Così ho introiettato quel particolare tipo di valore siciliano, che si muove tra paradossi e contraddizioni».

Abbiamo parlato di gioventù, ma una domanda sulle “cancellature” devo farla. Fra tante altre, lei ha “cancellato” le leggi razziali e ha espresso la sua soddisfazione di togliere visibilità a norme così odiose. Prima però aveva “cancellato” la Costituzione, sostenendo di voler esprimere il timore che qualcuno tentasse di farlo. Come si conciliano le intenzioni dei due atti artistici?
«La “cancellatura” si è dimostrata una forma efficace dell’arte perché esprime una contraddizione in termini: cancella, ma è sempre creativa e non è possibile dire se è più importante il cancellato o il non cancellato. L’arte deve conservare una sua ambiguità. Anche Michelangelo – giusto per citare un esempio massimo – nella Cappella Sistina, quando vuole sottolineare il rapporto complesso tra Dio e l’uomo, rappresenta Dio per secondo ma in alto e l’uomo per primo ma in basso. Chi viene prima? La risposta non c’è».

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