Ha viaggiato dalla Russia all’Estremo Oriente, passando per Tibet e India. Ha raccolto tessuti antichi e di pregio, divenuti oggetto di studio e ricerca, fino a farne un particolare percorso artistico. Le opere di Isabella Ducrot, raccontano, in maniera poetica, delicata e potente allo stesso tempo, i temi del viaggio, del mito, del paesaggio con una visione che sottolinea la bellezza della vita e la naturale esistenza delle cose. Oggi (Palazzo Ciampoli, ore 17) è anche il giorno dell’inaugurazione della mostra personale della Ducrot «La bella terra», un progetto del Museo Maxxi e di Taobuk, a cura di Monia Trombetta, con la direzione artistica di Bartolomeo Pietromarchi, in collaborazione con il Parco Archeologico Naxos Taormina. L’artista napoletana, che da anni vive a Roma, spiega la genesi dell’esposizione che induce anche a rivolgere lo sguardo al Mediterraneo: «È stata la pandemia a risvegliare in me - racconta Isabella Ducrot - l’urgenza di prendere in considerazione i problemi che derivano dai danni inferti alla terra. Prima avevo realizzato un certo numero di cartoline, in cui la terra veniva rappresentata simbolicamente, attraverso elementi fondanti come l’acqua, il cielo, la luna, la terra, gli alberi. Durante la pandemia ho avuto una ulteriore sensazione di allarme e ho continuato quel lavoro già avviato, in un modo che è diventato quasi un mantra, una preghiera. Ne ho cambiato i connotati: prima era un tentativo paesaggistico generico, mentre la mostra di Taormina mi ha dato l’occasione di enfatizzare questo nuovo stato d’animo, in cui è più manifesto questo pericolo che accomuna tutto il mondo». Quindi c’è un nesso con Taormina? «Certo, anche se non programmato. È come un fiore nato all’improvviso. Taormina è la terra dell’approdo, esalta il valore della terra rispetto al mare, è il trionfo della certezza del suolo sull’incertezza del mare. E poi è così bella… Qui la mia mostra assume una pregnanza diversa, perché in Sicilia “toccare terra” ha un significato molto speciale. Purtroppo non ci sarò ma mi rappresenterà Antonio Caggiano, il musicista che partecipa a questa mostra con una sua partitura, “Landing 2”, realizzata appositamente. La musica è importantissima, e quest’opera è stata composta seguendo il concetto di libertà, di terra, di armonia e della bellezza del luogo. Un grande regalo». A Taobuk si discute di libertà… «Penso che la libertà sia una meravigliosa illusione, siamo costretti dentro delle regole e sarebbe più saggio, secondo me, accettare il fatto che la nostra condizione umana non ci rende poi così liberi. È un bene, però, che i giovani, abbiano nutrano una illusione di libertà. In Tibet ho visto i soldati cinesi, così diversi nei lineamenti dai montanari locali, passeggiare in divisa e con un mitra in mano. Uno spettacolo doloroso».