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Antonello da Messina. Un genio assoluto che si staglia nel Quattrocento

Antonello nasce verso il 1430 a Messina, seconda città della Sicilia per importanza e ricchezza. Il padre era un maczonus, un artigiano che lavorava il marmo e la pietra. Questo suo lavoro influì sulla scelta di Antonello? Non sappiamo.

Ci sono ignote la sua formazione e le vie che lo portarono a formarsi nella bottega di Colantonio a Napoli, dove si attuava quella “vasta circolazione mediterranea” vivace e aggiornata rispetto a Messina che, se aveva conosciuto opere fiamminghe, ne aveva apprezzato prevalentemente il valore devozionale, in sintonia con una situazione culturale ancora arretrata. Antonello giovane è dunque a bottega da Colantonio: lo leggiamo in una lettera del 1525 del Summonte a Marcantonio Michiel, dove si dice anche che il discepolo aveva raggiunto una perfezione a cui il maestro non era arrivato. La cultura pittorica assorbita da Antonello a Napoli, si muoveva tra una visione fiamminga e le varianti interpretate da pittori francesi e provenzali le cui tele erano nelle collezioni reali. Tra il 1457 ed il ’65 Antonello è di nuovo a Messina come indicano documenti relativi ad opere a noi non pervenute, ma ad una visione (o lezione) colantoniana rispondono le giovanili “Vergine annunziata” di Como e “Vergine leggente” oggi a Milano, mentre la “Madonna Salting” a Londra già spicca per la salda volumetria in cui s’adombra una lucida sapienza di stilizzazione marmorea. Si percepiscono altri apprendimenti nel periodo giovanile del pittore: una prima e convinta assimilazione di modi studiati su Piero della Francesca è nella “Vergine leggente” di Baltimora e nella piccola ma immensa “Crocifissione” di Sibiu oggi a Bucarest, dove il tema narrativo, in quel lago prospettico di luce in cui si ergono le tre croci con i tre Crocifissi, si svolge con ben altra consapevolezza rispetto alle parti dipinte, ripetitive e devozionali, dei gonfaloni di cui si conoscono i contratti stipulati. È un momento in cui sulla visione ponentina s’incardina la visione italiana, pierfrancescana.

Nell’attraversare l’Italia per giungere a Venezia, tappa di un più lungo soggiorno, Antonello può aver toccato Perugia, Firenze, forse Sansepolcro e Urbino, luoghi della cultura prospettica, cui egli aggiungerà, nei cartellini con firma e data che si protendono illusivamente dalla superficie degli “Ecce Homo” e dei ritratti, la conoscenza dell’ambiente squarcionesco, mentre l’incontro con Giovanni Bellini nel ’3 è palese nel “Polittico di San Gregorio” a Messina, dove tra i due scomparti laterali della cimasa con l’Angelo e l’Annunziata doveva inserirsi al centro una Pietà, oggi perduta, ripresa dal polittico belliniano di San Vincenzo Ferreri in S. Zanipolo. Il “Polittico di San Gregorio”, nonostante l’obbligo contrattuale del fondo oro, segno di un’inveterata predilezione tradizionale, s’incardina in una perfetta scatola spaziale che misura la composizione riunificata dalla luce limpida e ferma. I documenti di questo periodo ci parlano di commissioni per Randazzo, Noto e Caltagirone, opere perdute; a noi è giunta del 1474 la preziosa “Annunciazione” di Palazzolo Acreide oggi a Siracusa, fiamminga nell’impostazione ricca di particolari quanto italiana nella costruzione spaziale, e probabilmente dello stesso periodo il “San Girolamo nello studio” oggi a Londra. La complessa struttura architettonica si accompagna con l’uso della luce che segue diverse direttrici prospettiche conseguendo un’affascinante versione italiana di elementi fiamminghi. Questo revival fiammingheggiante viene abbandonato nell’ultimo soggiorno a Venezia. Qui Antonello giunge nel 1475 e si cimenta nella grande pala della “Madonna col Bambino in trono e Santi” per la chiesa di S. Cassiano, oggi smembrata e conservata in parte a Dresda. Il disporsi pausato e arioso delle figure nello spazio non più costrette nelle strutture degli sportelli del polittico, è il risultato di una straordinaria rielaborazione di modelli culturali che si manifesterà anche nella “Pietà” del Museo Correr a Venezia e nell’ultima “Pietà” del Prado a Madrid accasciata nel silenzio di un dolore straziante, nella “Crocifissione” di Anversa e nella “Crocifissione” di Londra, nel “San Sebastiano” a Dresda, un idolo che si erge in uno spazio luminoso di cui il punto di vista ribassato esalta l'astratta monumentalità proiettata in un tempo senza limiti.
Nel settembre ’76 Antonello è di nuovo a Messina. Nelle ultime opere, tra cui spicca la “Annunciata” di Palermo, e negli ultimi ritratti di cui è esemplare il “Ritratto Trivulzio” a Torino, firmato e datato 1476, egli raggiunge un’assolutezza di forme che è il risultato di un’estrema sintesi giocata sui problemi di costruzione prospettica. Antonello muore nel 1479 e in una città che, a metà Quattrocento, non aveva una cognizione precisa della contemporanea cultura figurativa, la sua figura - come scriveva Roberto Longhi - si erge maestosa e solitaria sulla scena siciliana inconsapevole di tanta grandezza.

* Storica dell'arte 

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