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Messina, la “Scatola” di Valerio Vella opera avvincente e coraggiosa

Produzione tutta messinese per lo spettacolo al “Vittorio Emanuele”. Teatro, danza, rock e poesia. E la bravura di Crifò

Una performance teatrale tutta messinese, diretta da Valerio Vella, il quale ha curato anche il soggetto. Un monologo profondo e denso di provocazioni, interpretato da Elio Crifò (regista, drammaturgo e attore) , che qui dà voce e corpo al malessere dell’uomo contemporaneo che, di fronte ad un mondo sempre più globalizzato, prevaricante, omologato, può resistere con quella follia che sembra “l’unica risposta possibile”; un sistema, che, all’insegna del modernismo, dell’efficienza, del progresso tecnologico, fallisce con l’umano.

È “Scatola - Ossessioni da asporto” l’avvincente e coraggiosa opera che ha unito teatro, poesia, musica e danza, e che è andata in scena sabato e domenica al Teatro Vittorio Emanuele. L’incomunicabilità avvince l’individuo che vegeta dinanzi alla televisione, una scatola per lo più sofisticata delle tirannidi e su cui Pasolini scrisse articoli e saggi qui ripresi nel testo, con riferimenti anche a Betocchi , Philip K. Dick e ai Pink Floyd: «Invece di fare le marce della pace io farei quelle per rinnovare la Tv che ignora che in Italia ci sono contadini, operai, intellettuali e soprattutto persone intelligenti». Quella scatola dà l’illusione di vivere, di sentire passioni, «di piangere e ridere con gli altri» in un rito collettivo, ma in realtà vissuto in solitudine. Nel flusso di coscienza e autocoscienza, nella bella prova di Crifò, l’io narrante colpisce, tocca il senso critico delle persone, contro una tecnologia invasiva e perturbante.

La recitazione è stata arricchita da perfetti interventi di danza e musica apprezzati dal pubblico in sala, in una miscela di linguaggi che ha amplificato, dilatato e condiviso lo stato angosciato del protagonista. In in scena la compagnia di danza “Marvan Dance” (con Domelita Abate, Nives Arena, Rebecca Pianese, Jo Prizzi, Alice Rella, Valentina Sicari) diretta da Mariangela Bonanno che, con Alice Rella e Giorgia Di Giovanni, ha curato le belle coreografie di danza moderna, contemporanea, teatro danza.

Mentre i brani dei Pink Floyd sono stati suonati dalla “The Box Rock Band” con Antonio Amante, chitarra elettrica e voce, Alessandro Blanco, chitarra e chitarra elettrica, Massimo Pino, basso e voce, Tindaro Raffaele, tastiere e voce, Stefano Sgrò, batteria e percussioni, Simona Vita, piano tastiere e voce.

L’opera teatrale è liberamente ispirata all’album The Wall dei Pink Floyd e in particolare al brano “Another brick in the wall”, ideato da Roger Waters, bassista del mitico gruppo britannico che racconta un mondo claustrofobico, come quello degli studenti inglesi vessati a scuola dai professori. Nel brano il memorabile exploit vocale e strumentale introduce il canto della band ma anche al famoso coro dei bambini che dicono “no” a quel modello educativo. L’opera è anche ispirata al film “The wall” di Alan Parker. E sulla scena la scatola è un pezzo di quel muro. L’uomo di oggi è immerso in una società che incamera forsennatamente modelli da Monopoli (elemento della scenografia) da Borsa, iPad , cellulari e produce «scorie che sono interiori ma anche esteriori, spazzatura che avvelena il mondo».

E lo spettacolo si conclude con l’immagine plastica della dipendenza dell’individuo, solo e solipsista, imprigionato dentro le scatole che producono un grande quadrato, che un tempo era “pitagorica perfezione “ e lo spazio «in cui Vitruvio ha posto l’uomo» sublimandolo, un quadrato che qui è invece scatola televisiva, di un circo mediatico, forma della sconfitta, della trappola, della gabbia, del muro. E il sipario si chiude proprio sulle mitiche note e dirompenti parole del Muro, di “Wall”: «Noi non abbiamo bisogno di istruzione. Noi non abbiamo bisogno di controllo sul pensiero. Di sinistro sarcasmo in classe. Insegnanti, lasciate stare i ragazzi!».

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