Messina

Domenica 24 Novembre 2024

"Santa, la guerra". Il ritratto di una combattente firmato dal messinese Caspanello

No. «Santa, la guerra» non è un romanzo che può passare inosservato, uno dei tanti nella selva di libri che autori ed editori si ostinano a pubblicare in Italia nonostante gli scadenti dati di vendita. «Santa, la guerra» è un romanzo necessario oltre che utile (non mi pare che il primo aggettivo contenga il secondo) perché è narrativa, è Storia (quella con la S maiuscola, come è stata rivalutata dagli etnologi attenti alle esistenze di ogni giorno, anche degli ultimi), è antropologia, è sociologia, è vita vera. Conosciamo Tino Caspanello soprattutto come drammaturgo, attore e regista, completo uomo di teatro, rappresentato e pubblicato all’estero più che in casa propria (a Messina, poi, nel teatro pubblico si ignora chi ha la “colpa” di essere nato nel territorio), ma stavolta l’autore di Pagliara ci propone il suo secondo romanzo (edito da La Gru). E che romanzo! Tanto che non si sa da dove prenderlo per cominciare a dirne qualcosa: dalla scrittura, per esempio, oppure dalla protagonista, orgogliosa e combattiva contadina siciliana della prima metà del Novecento nella zona jonica dei Peloritani (quella dell’autore), o anche dal quadro sociale, così vivo e preciso, forse proprio perché visto dal basso, con sguardo acuto e pieno di senso critico. Santa non è una donna qualunque e definirla femminista ante litteram è perfino riduttivo. Lei si sente ed è anzitutto persona, ricca di una dignità che non è inferiore a nessuno e su questo basa la sua difficile esistenza. Non accetta alcun tipo di sopruso, né quello familiare che s’impone sulle scelte delle donne, tanto meno quello, residuale ma non troppo, che pretende ancora che la verginità delle giovani contadine passi dalle stanze del barone-padrone e del figlio e si trasforma poi in mentalità mafiosa. Santa è contemporanea più a un tempo successivo che al suo, ma lo è perfettamente all’eterno tempo del diritto di essere rispettati, specie quando si esercita, come lei sa fare con coloro che lo meritano, anche il dovere di rispettare. «Ma è possibile – riflette la protagonista – che ci danniamo una vita per avere un pezzo di pane e manco i denti abbiamo per mangiarlo, e ci accontentiamo così, senza che nessuno dice niente, perché niente hanno detto i nostri padri e manco niente hanno detto i nostri nonni?». Così Santa combatte la sua personalissima guerra, spesso dolorosa, per avere il diritto di essere com’è e come vuole, pur accettando la sua condizione di contadina. Si arrabbia, usa il fuoco per bruciare ciò che scrive e porta un coltello, alle volte attacca e si difende a testa bassa, condizione necessaria per andare a testa alta: «… la mia guerra io l’ho fatta ogni giorno contro a tutti e contro a tutto, una guerra di femmina in una terra e in un tempo che a nessuna era permesso manco di alzare gli occhi. A nessuna, certo, ma non a me, che coi denti me lo sono guadagnato il guardare dritto dentro agli occhi degli altri». Al servizio della sua protagonista, Caspanello mette una scrittura molto interessante, perché è in perfetto italiano (appena qualche dativo invece di un complemento oggetto o l’assenza di virgolette, perché il discorso tutto uno è), eppure conserva la costruzione logica e linguistica del dialetto. Cioè non si tratta di un dialetto adattato o inventato, come tanti scrittori – da Verga in poi – hanno provato a fare. Direi che la struttura delle frasi è colta, ma poi la sua costruzione per fare dalle parole un periodo, una pagina, il libro, quella invece è contadina (si badi, tra l’altro, all’uso dell’imperfetto). Il lessico è povero e appare ricco. Non solo, quello che in sostanza è un lungo monologo (certo, spunto per un futuro teatro di narrazione) tutto giocato in soggettiva, dalle descrizioni alle azioni, si distende sulla pagina come se non ci fosse punteggiatura (che c’è), perché il pensiero pulsante non si destreggia tra punti e virgole, ma scorre sano e sincero. Si legge in copertina che Tino Caspanello «ama tutto quello che le parole non dicono e che non possono o non devono dire» e chi frequenta il suo teatro sa che è vero, grazie ai significativi silenzi che s’insediano tra una parola e l’altra. Con Santa le cose cambiano, anche se il sottinteso (ciò che è fermato dal pudore dei sentimenti) spesso rimane. La protagonista è un fiume in piena, sia nelle azioni sia nelle riflessioni, ha il senso chiaro della propria intelligenza e dei propri limiti di conoscenza. Tino Caspanello ci ha consegnato il personaggio potente di una grande donna.

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