Lo sguardo è quello serio e penetrante di sempre, di quando con le sue domande conquistava Nobel e prim'attori, di quando pranzava con Sciascia, attraversava il mondo e lo raccontava anche in prosa e versi. Le 88 primavere e la pace interiore lo orlano di un sorriso nuovo, proiettato sui ricordi di un'esistenza vivida. A "casa Freni", la storica villetta di Melo Freni, nicchia di pace a ridosso del lungomare di Terme Vigliatore, comprata dal padre pasticcere e rimasta chiave esistenziale, sulle pareti tappezzate di foto baluginano in penombra i volti di una quadruplice carriera: giornalista, scrittore, poeta, regista teatrale. Ma si respira di più. Oltre la grande madre Rai, la Gazzetta del Sud e il Corriere della Sera, e ben 12 libri di poesia, 7 romanzi e 42, sì 42, regie teatrali tra Sciascia e Pirandello, da New York a Mosca, batte il cuore di una personalità unica. Testimone e cantore, trasfiguratore di un'Italia sempre a metà tra derive e rinascite.
Lei trascorre tutta l'estate nella sua casa di Terme Vigliatore. Perché è così fedele alle radici?
Torno sempre qui perché è in questi luoghi che io ho sognato la mia vita. L'unica cosa che mi meraviglia è che abbia potuto fare tante cose confrontandomi con un’esistenza di cui ho cercato, qui e altrove, le occasioni migliori per dare un senso a quanto la vita mi sollecitava nei confronti di me stesso e degli altri.
Cosa le hanno dato i luoghi natii?
Le mie tre terre, Castroreale, Barcellona, Terme, sono state, soprattutto Castroreale dove ho frequentato il liceo, la base della vita. La patria di quel sogno di fare il giornalista e di scrivere, che poi si è trasformato in realtà grazie ad una sensibilità che mi ha messo in condizione di trasferire in un contesto generale tutto quello che qui era germogliato come desiderio e come impegno. Ma poi la Sicilia, con la trasfigurazione del sogno, l'ho incontrata in tutti i luoghi dove la vita mi ha portato. E la rivivo ancora oggi nella dimensione del sogno che mi sono costruito a prescindere dalle influenze esterne, dalle possibilità di illusione che ho superato e continuo a superare.
E Roma cos'è per lei?
Il mio rapporto con Roma è di grande rispetto. Mi ha dato la possibilità di realizzare un confronto con una vita affrontata in piena coscienza, è stata il terminale di tutte le mie esperienze.
Poeta, giornalista, scrittore. Quale delle tre cose è stato di più?
Ho vissuto una dimensione poliedrica, in cui ho sentito ognuno dei tre percorsi con la stessa intensità, soprattutto sentimentale. Non è per vanagloria che ho affrontato la vita nei vari aspetti che ho colto. Io mi rendo conto che la sintesi della mia attività culturale ha nascosto anche la possibilità di un rischio ma l’ho evitato, rivestendo ogni attività con la precisa misura del possibile, senza iattanza o superbia
È stato per edecenni il giornalista di punta delle “Cronache italiane “del Tg1. Quali artisti ricorda di più?
Le Cronache italiane hanno significato la conoscenza con i più grandi poeti, scrittori e intellettuali del periodo come Ungaretti, Quasimodo, Naguib Mahfuz, Evtusenko, Solonovich, e al contempo la funzione essenziale che nella mia formazione ha avuto Leonardo Sciascia
Come scoccò la scintilla della vostra amicizia?
Tramite il suo libro “Le Parrocchie di Regalpietra”. Lui si trovava a Caltanissetta: io ero giovane, partii alla ventura e lo intervistai. Cominciai a scrivergli e da allora mi rispose sempre. Gli proposi poi la prefazione del mio “Senso delle cose” e si sviluppò l’amicizia. Pranzavamo insieme quando, durante il rapimento di Moro, Cossiga annunciò in tv che lo Stato non avrebbe trattato con le Brigate Rosse, e Sciascia vaticinò l’imminente nefasta sentenza di morte.
Qual è stato il suo ambiente letterario, a Roma?
Il cenacolo era quello della “Fiera letteraria” degli anni 60, 70 e poi dei primi anni 80, il grande giornale della letteratura italiana allora diretto da Diego Fabbri. Ricordo i colloqui con lo storico Dennis Mack Smith e il rapporto con il grande poeta spagnolo Rafael Alberti. Lo riaccompagnai a Madrid quando finì il Franchismo e la cosa bella fu che i socialisti madrileni gli avevano preparato uno spettacolo ambientato a Roma con Nuria Espert, la più grande attrice spagnola del tempo. Finito tutto, Alberti mi portò a vedere le montagne dove era stato ucciso Garcia Lorca.
Nei suoi reportage cosa l'ha emozionata di più?
Per tre volte, la Rai mi mandò nella Valle dei Re e nel tempio di Karnak in Egitto: ricordo bene il recupero della Barca del Sole quando vidi che i millenni venivano fuori lentamente dalle viscere della terra. O quando la Cina riaprì le sue porte a livello internazionale, e raccontai lo spettacolo che nell’occasione fu messo in scena dall'Italia, in parte all'interno della grande muraglia cinese. Era l’Arlecchino servo di due padroni.
E come artista?
Forse quella sera in cui, nella piazza Rossa di Mosca lessi in italiano, e subito dopo lo fece Solonovich, in russo, le mie poesie. Era il più grande italianista di sempre e fu un'emozione straordinaria.
E i ricordi più belli della carta stampata?
Giornalisticamente io sono nato alla Gazzetta del Sud che pubblicò i miei primi racconti e corrispondenze da paesi come Milazzo e Patti. Il Corriere della Sera venne negli anni 70, e durò in varie forme fino ai primi anni del 2000, quando diede spazio ai miei aforismi. Ricordo il mio rapporto con Montanelli, che elogiava il mio stile, e quello ancora più intenso con Gervaso... Insieme andavamo talora in gita nei paesi e conversavamo sui temi dell'Italia. Una volta "Robertino", che era di signorilità assoluta quanto di sferzante ironia, ci portò in una campagna della Lunigiana e fummo ospiti di una contessa che, con semplicità, ci servìva la cena in giardino, camminando a piedi nudi.
La guerra e le pandemie, la mafia... Come vive questo mondo del 2022?
Mi dà l'idea di un mondo che rinuncia a se stesso. Ogni epoca ha avuto la sua Hiroshima. Ma al di là della fede, c'è bisogno di lottare, per i bisogni delle persone. La vita si manifesta il più possibile nel dolore, nelle ingiustizie, nelle brame di un potere assassino. In Sicilia la mafia resiste perché, diceva Sciascia, la si tacita e non la si sconfigge. Oggi si è riplasmata e imborghesita, e la cultura è la vera vittima di questo emisfero mafioso, di questo binario parallelo.
In una toccante poesia lei scrive che la ragione «scopre al fondo del fondo un altro mondo»...
Vita e morte vivono in simbiosi, sono due parti dello stesso atto. Nel “fondo del fondo” ci sono le immagini: la realtà, il sogno, forse anche la fede. Io ho molta fede in Dio. Quando torno qui, e guardo il tramonto dietro Tindari, io vedo lì... la sintesi di tutto...
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