Sotto una luna che sogna stanno le pietre antiche del teatro di Taormina ma tramutando luoghi e tempo si può pensare di trovarsi nel 1820 in una delle belle piazze di Siviglia, davanti alla Reale Manifattura di Tabacco. Così siamo con Carmen, eroina del capolavoro omonimo di Georges Bizet, rappresentata a Taormina (e domani al Teatro greco di Tindari) per la quarta edizione del Festival Lirico dei Teatri di pietra.
Il silenzio rotondo della sera è un pentagramma sul quale incide le sue note l’Orchestra Filarmonica della Calabria diretta dal talentuoso maestro Filippo Arlia, mentre risuona il celebre preludio dell’opéra-comique in quattro quadri ispirata al racconto di Prosper Mérimée composta da Bizet su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy.
Una ouverture che è uno sciame di flauti, tromboni, fagotti, grancasse, timpani e nacchere, eseguito con la consueta armonia dai musicisti del maestro Arlia e in cui sono annunciati i temi dell’opera: la musica trionfale della corrida in un crescendo che ora rallenta ora riprende con l’avvertimento che in quel trionfalismo, così come nella corrida, c’è il senso ineluttabile del fato e la passione-patimento di Carmen.
Ecco, allora, che sulla piazza, in un chiaroscuro greve e corrusco irrompono passanti e borghesi, dragoni e ambulanti, popolane e monelli (il coro messinese di voci bianche, le Note Colorate, diretto dal maestro Giovanni Mundo che ha eseguito «Avec la garde montante»), che affollano forse in maniera disordinata lo spazio scenico occupato da bastioni e da una monumentale porta (eccessivo il tempo impiegato tra un atto e l’altro perché fosse smontata).
L’arrivo di Micaela (la soprano Heloise Koempgen) in cerca del suo amato, il brigadiere Don José (il tenore Eduardo Sandoval) non viene quasi notato giacché tutti fremono in attesa delle sigaraie e soprattutto della bella Carmen, icona di una femminilità libera, anima ribelle che nello sfolgorio di abiti flamenchi bianchi e nel rosseggiare di ventagli e mantones s’impone con sensualità gitana.
È la mezzosoprano Karina Demurova (che ha sostituito per emergenza covid Milijana Nikolic), a intonare nel ruolo di Carmen la celebre habanera «L’amour est un oiseau rebelle», una presenza scenica e un’ interpretazione che sono apparse talora staccate dall’esecuzione dell’orchestra, dalla coesione con le fedeli compagne Frasquita (Leonora Ilieva) e Mercedes (Licia Toscano) e dall’impeccabile sincronia del corpo di ballo flamenco di Murcia guidato da Matilde Rubio (curato per le acconciature e per il trucco da Alfredo Danese).
Una sensualità forse appannata dalla blanda sintonia con Don José-Sandoval cui è mancata passionalità per dare emozione nell’esecuzione della pur bellissima aria «Le fleur que tu m’avais jetée» e nel duetto con Carmen.
Tra gli interpreti, il baritono Alessio Verna nel ruolo del matador Escamillo che ha intonato «Toreador» nella scena di Plaza de Toros anch’essa troppo affollata di banderilleros, picadores e popolani (interpretati dal Coro Lirico Siciliano). E ancora, Giuseppe Brancato (Lillas Pastia), Federico Parisi (Dancaire), Rosario Cristaldi (Remendado), Eugenio Maria Degiacomi (Zuniga), Tetsuji Yamaguchi (Morales). Regia di Anna Aiello, direzione del coro di Francesco Costa, Juerga Flamenca diretta da Grazia Maugeri, light designer Santi Rapisarda, con Giusy Messina ai movimenti coreutici.
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