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Ma sullo Stretto la notte continua a tremare... Nadia Terranova all'Horcynus Festival

La scrittrice messinese ha presentato il suo ultimo romanzo

«Penso che le parole plasmino la realtà, non la rispecchino. C’è un gioco di sponde, come nello Stretto: da un lato le parole servono a raccontarla, dall’altro a crearla e soprattutto per chi scrive l’idea di creare realtà è molto forte». Lo afferma Nadia Terranova, scrittrice messinese di caratura internazionale, che in apertura della ventesima edizione dell’Horcynus Festival, nella splendida cornice di Capo Peloro, davanti a un foltissimo pubblico, ha conversato con la giornalista di “Gazzetta del Sud” Anna Mallamo, per raccontare il percorso interiore, la meticolosa ricerca documentaristica, la costruzione di idee, di personaggi, le scelte di struttura e di lingua alla base del suo ultimo romanzo “Trema la notte” (Einaudi).

Una genesi appassionata, da “strettese” doc, in cui lo Stretto e Messina sono protagonisti, luoghi eletti di storie e sentimenti, vita e morte, cadute e rinascite. Non a caso il volume sembra comporre un’ideale trilogia dello Stretto e dei sopravvissuti con i precedenti romanzi dell’autrice “Gli anni al contrario” e “Addio fantasmi” (nella cinquina del Premio Strega 2019). In primo piano, i tragici eventi del terremoto che colpì Messina e Reggio Calabria nella notte tra il 27 e 28 dicembre 1908; una delle più grandi tragedie della storia che è anche – come ha sottolineato Mallamo in apertura – una delle più grandi ombre che gravano su questi luoghi: un buco nero, ma anche un luogo fitto di storie, vere o inventate, che la Terranova affronta attraverso le vicende parallele di Barbara Ruello, ragazza messinese, e Nicola Fera, bambino reggino.

Due individui diversi, accomunati da realtà personali complesse: una famiglia che a Barbara chiede di obbedire accettando un futuro di sottomissione, da brava moglie e madre; un padre assente e una madre che incarna una maternità oppressiva e persecutoria per Nicola. Due esistenze i cui legami saranno spezzati dalla catastrofe del 1908: una falce che taglia tutto e semina morte, senza però necessariamente portare con sé solo distruzione. Come nei tarocchi – che non a caso danno il titolo a ciascun capitolo del romanzo – la «morte» può essere infatti non solo fine ma rinnovamento, capovolgimento di destini, opportunità: il «baratro» diviene viatico per la libertà.

Questo il messaggio forte e portante del romanzo, che è però anche tanto altro. È storia di legami: con la famiglia appunto (con zone d’ombra e contraddizioni), con la propria terra (luogo di incessante richiamo e ritorno) e – nella seconda parte del romanzo – con la “rete” delle donne, in una sorta di “famiglia allargata” ed elettiva di donne. Quella che consentirà a Barbara di «trasformare la perdita in futuro», disporre di quella «spaventosa libertà» che la catastrofe le ha consegnato.

Una storia in cui riconoscere tante storie e leggende familiari, un’occasione di recupero delle proprie radici per le generazioni successive, resa possibile dal meticoloso lavoro di ricerca fatto dall’autrice (specie sugli articoli della “Domenica del Corriere” e le réclame dell’epoca, per ricostruire, oltre ai fatti, atmosfere, costumi, abitudini) per accostarsi il più possibile alla verità e raggiungere quel “verosimile” di manzoniana memoria («Verosimile è quello che cerchiamo in un romanzo storico» ha detto l’autrice).

Ma attraverso la narrazione del “verosimile” emergono verità incontrovertibili: la Messina di allora città vivace, potenza del Mediterraneo, crocevia di commerci fiorenti e luogo d’intenso dibattito culturale. E il terremoto non solo come «cesura della Storia», ma anche come gigantesco alibi per scelte d’inazione, di rinuncia, di miopia. Emerge così potente l’importanza della memoria. Quella memoria che la scrittura tramanda e tiene viva, ma anche quella che, «invocata come mancanza, giustifica l’inerzia, – denuncia Mallamo – anticamera della cecità; persino rispetto alla bellezza incontrovertibile ed enorme di Messina, dello Stretto» (e i tarocchi, consultati, per Messina e il suo futuro danno come responso il sesto degli Arcani Maggiori: l’Amore).

Ma la scrittura, come in questo caso, interviene potente a fare giustizia. Una scrittura al femminile, che si sovrappone a tante voci al maschile di cronache imperfette, in cui il ruolo fondamentale delle donne viene sottaciuto o sminuito. È anche questo il romanzo di Nadia Terranova.
L’evento è stato a cura della Fondazione Horcynus Orca e della Fondazione di Comunità di Messina, con La Feltrinelli Point Messina.

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