Antonella Ferrara, presidente e direttore artistico di Taobuk, ma veramente quest'anno cercate la “verità” tra le pagine dei libri, e dove avete messo la lanterna?
Sì, e non potevamo che prendere le mosse dal pensiero classico. Senza avere la pretesa di paragonarci a Diogene, anche noi “cerchiamo l’uomo”, mettiamo in primo piano la sua sete di conoscenza, per trovare così la verità di cui proprio l'essere umano è misura, per dirla con Protagora. Siamo consapevoli che è una sfida, perché affrontiamo il tema fondante intorno al quale si è sviluppata la civiltà occidentale. Dalla realtà disvelata, dall’alétheia greca, è nata la filosofia con Parmenide e la sua verità assoluta, contestata tuttavia da più parti, i sofisti tra i primi, antesignani in qualche modo del relativismo novecentesco. Taobuk si pone proprio sul solco che ha contrassegnato il Secolo Breve, a cominciare da Einstein, risoluto nell’affermare che “la ricerca della verità è più importante del suo possesso”. Nei meandri dei saperi, il dogma incontestabile ha lasciato così il posto ad un approdo graduale e comparativo che procede per acquisizioni successive e finanche parallele. È altrettanto evidente l’importanza che questa evoluzione ha giocato in letteratura fin dagli albori. Pensiamo al dramma antico e alle unità aristoteliche di tempo e di luogo, garanzia di aderenza formale alla realtà, e a come tali coordinate siano state via via frantumate. Oggi, nel XXI secolo dobbiamo fare i conti con la potenza amplificante del web, in cui il labile confine fra il vero e il falso, verità e post-verità, è reso ancora più diafano. Aspetti multiformi di cui ci occuperemo nelle cinque giornate del festival. Sì, cerchiamo la verità. E non solo nei libri. Ma ovunque ci porti la riflessione e l’intuizione, allargando l’esplorazione all’ampio respiro del mondo, con il contributo di alcune tra le più autorevoli voci del nostro tempo, nel desiderio di dare un contributo all'analisi del presente. Mi chiede dove abbiamo messo la “lanterna” che l’inflessibile Cinico portava emblematicamente con sé anche in pieno giorno. Non una ma tante ne abbiamo accese, perché Taobuk è una kermesse multidisciplinare in cui la letteratura si sposa e si confronta con la scienza, la medicina, la geopolitica. Ne abbiamo piazzate una per ogni incontro in programma, e ci auguriamo che facciano luce ben oltre il limite temporale del festival.
La verità è solo e sempre “scandalosa” oppure racchiude il bianco e il nero?
Mai come in tema di verità vale la considerazione mai troppo scontata che tutto è relativo. Dipende dai tempi e dai modi. La verità è scandalosa quando viene sostenuta senza compromessi di fronte a chi non è pronto ad accettarla. È lo “scandalo” metafisico di Schopenhauer: caduti i veli di Maya, l’uomo si trova davanti ad una cieca irrazionalità. E per sfuggirla la nega, o nella migliore delle ipotesi si rifugia nell’arte, nella letteratura. Si torna al punto di partenza: trovare nel velo del “falso” la protezione dal vero che ci ferisce. Per fortuna la creazione artistica è un medium privilegiato, intriso di sfumature e chiaroscuri, luci e ombre, che mirano a rappresentare nient’altro che la verità, ma nei suoi mille volti. Questo insegna a metterci in ascolto di noi stessi e di ciò che ci circonda. E capire che per ogni variabile che interviene, la realtà cambia pur non potendosi definire meno vera.
E se avesse ragione Rorty, che sostiene come sia arrivato il momento di “dire addio a parole come verità”?
Se riflettiamo sull’esortazione di Rorty, bisogna coglierne la provocazione. Infatti per compiere il gesto di eliminare una parola, bisogna pronunciarla e - a dispetto del proposito iniziale-riaffermarla. Uscire dal paradosso si può. Il pragmatismo di matrice nominalistica, di cui Rorty è tra i maggiori esponenti, congeda infatti la parola verità in quanto realtà inattingibile, ma le riconosce pieno diritto di cittadinanza nell’ambito dei contesti sociali e nel dibattito pubblico e privato. Pure il filosofo americano, lasciandosi alle spalle il concetto ontologico di verità, s’inserisce dunque nel pensiero novecentesco che, a partire dalla filosofia della scienza, ha compreso la non esistenza di un’unica verità sotto le parole, ma approssimazioni dettate dalla relatività delle situazioni. Perfino lo spazio e il tempo dipendono dal punto di osservazione. Sono concetti giunti a maturazione nel Ventesimo secolo, ma i cui germi si rintracciano, come dicevamo, già in Eraclito o nei sofisti. Fuori dalle difficili formule matematiche, un nostro conterraneo, un certo Pirandello, ci ha raccontato di come perfino il nostro io può essere uno, nessuno, centomila … figuriamoci quello che ci circonda.
Siamo alla dodicesima edizione, quando ti sei inventata questa formula pensavi che sarebbe diventato un appuntamento internazionale ormai consolidato? E se ripensi agli inizi?
Quando Taobuk ancora non c’era, a bruciare in me era la passione per la letteratura, la stessa che aveva fatto di me una lettrice seriale e una libraia in trincea, determinata ad aprire con mia madre a Taormina l’unica libreria nel raggio di cinquanta chilometri. L’idea di dare forma ad una manifestazione culturale di respiro internazionale mi è venuta dall’altra irresistibile attrazione per l’acropoli adagiata sul Monte Tauro, una polis magnetica e cosmopolita, da secoli capace di attrarre e ispirare scrittori, musicisti, cineasti, intellettuali delle più varie discipline. L’ho confessato tante volte, la formula di Taobuk era già nel genius loci, intuirlo ha fatto sì che il sogno si trasformasse in progetto, la passione in amore per il retaggio di una terra in grado di dare vita alla grande famiglia di Taobuk, che ogni anno è feconda di frutti sempre più preziosi e raggiunge traguardi ambiziosi, confermando che siamo sulla via giusta. Il festival dà il suo contributo alla crescita del turismo culturale, un segmento sempre più importante per l’Isola. I patrocini istituzionali a livello regionale, nazionale ed europeo, le importanti partnership, così come gli sponsor di alta fascia, sono giunti via via a sostenere una progettualità in cui l’asticella è sempre più alta.
Parliamo dell'incrocio di culture al centro del Mediterraneo, l'Occidente, l'Oriente, la “Cindia”, l'islamismo, gli estremismi. Come affronta Taobuk questa necessaria comunicazione tra più universi poco paralleli?
Bisogna pensare al plurale. Ogni universo diventa parallelo e si allinea agli altri, quando viene finalmente meno un centro di gravità che pretende di prevalere e fare vorticare tutto intorno a sé. È fuor di dubbio che il Mediterraneo sia un luogo non solo geografico ma anche culturale intorno al quale si affacciano sensibilità diverse, di cui il ventaglio dei nostri ospiti, in ogni edizione, è stato rappresentante e portatore. Andrà così anche quest’anno, il festival sarà un prospetto di finestre che si affacciano sulla diversità del mondo alla ricerca delle interconnessioni piuttosto che degli elementi divisori.
Quest'anno si va in scena dal 16 al 20 giugno, il programma è veramente ricchissimo, qual è la “cifra nel tappeto” di questi incontri? Raccontiamone alcuni...
“La figura nel tappeto” è uno dei racconti più critici ed enigmatici di Henry James, una non trama in cui la letteratura riflette su se stessa. L’autore di Washington Square teme ed esorcizza ad un tempo la sfiducia che può contagiare, più spesso di quanto si creda, perfino gli autori più ispirati e i lettori più appassionati. E cioè che la narrazione sia uno sforzo vano, forse divertente, ma fine a se stesso, tanto più se finzione e realtà si mescolano e si confondono. Ma lo scrittore inglese, e i lettori con lui, trovano la forza di ribadire la nostra fede nel primato della parola scritta, trovando ulteriore sprone quando decifrare il messaggio riesce addirittura impossibile. A pensarci bene è la stessa faticosa ricerca che porta alla verità. Ma anche al piacere della scoperta. Perciò le cifre nascoste del festival non le sveliamo, almeno non del tutto. Tante le sorprese in serbo, tanti gli ospiti di livello internazionale. Partiamo dai Taobuk Awards, assegnati come ogni anno ad eccellenze assolute: due giganti della letteratura come Paul Auster e Michel Houellebecq, lo scienziato Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica, Emilio Isgrò, il maestro della cancellatura, l’attore Toni Servillo, il regista Roberto Andò, i comici Ficarra e Picone, l’astronauta Luca Parmitano. E insieme a loro altri prestigiosi protagonisti che daranno vita ad incontri in cui il tema della verità sarà affrontato per scoprire quanta complessità si nasconda dietro un’apparente facilità.
Il sottotitolo scandisce parole chiave: scenario internazionale, con riflettori puntati sull’attualità, sui libri, sul dibattito scientifico, sullo spettacolo dal vivo, con i grandi protagonisti del nostro tempo. Da dove vengono le idee delle parole da far diventare “totem” ogni anno?
Idee e parole sono gli assi del programma che Taobuk declina edizione dopo edizione. Tengo a sottolineare che tutto muove dalla scelta del concept annuale, costruito attraverso snodi elaborati dal comitato scientifico del festival che vanta membri di altissimo livello. È un lavoro sinergico di cervelli e di squadra, che approda ad un’approfondita analisi sotto il profilo dello sviluppo tematico.
Un esempio per tutti riguarda il tema “verità”, che era in predicato da diverse stagioni. Abbiamo voluto attendere il 2022 per una ragione forse sentimentale. Le scelte di Taobuk non sono mai state rigidamente legate a specifiche ricorrenze, ma abbiamo ritenuto di sottolineare il centenario della morte di Giovanni Verga, padre del Verismo, al quale è dedicato un focus e l’inedita cancellatura sui Malavoglia realizzata da Emilio Isgrò.
Taobuk è diventato ormai oggettivamente uno autentico sguardo concreto sul mondo, sul suo divenire, sulle sue immani contraddizioni. Secondo te è realmente percepita la sua importanza dai siciliani?
Taormina è snodo di Storia e storie in una Sicilia la cui dimensione storica e geografica è scandita da attività culturali e letterarie di una moltitudine di popoli. Pensiamo che tali sedimentazioni non abbiano lasciato traccia nella coscienza collettiva? Taobuk torna a fare di Taormina e dell’Isola un osservatorio privilegiato. Certo che i siciliani colgono l’importanza del festival, anche grazie al nostro impegno mirato a comunicare con l’esterno e intercettare le dinamiche di spettatori giovani. Pensare che il nostro sia un popolo abulico e disinteressato alla cultura è una convinzione figlia del pregiudizio. Taobuk è Taormina e Taormina è emblema della Sicilia multietnica e multiculturale, anello di congiunzione fra Oriente e Occidente le cui vestigia ancora oggi attraggono, stupiscono e commuovono.
Il nostro mondo incerto è attualmente in guerra, ma oltre ai “fucili” c'è tanto altro da capire, Taobuk come affronterà questa fetta geopolitica di verità su cui discutere e interrogarsi?
L’umanità ama la pace e l’interscambio di idee diverse che aiutino tutti a crescere e migliorarsi. La storia dimostra che, ciclicamente, si verificano collassi e conseguenti conflitti, portatori di dolore e sofferenza, da cui poi gli uomini trovano la forza per ripartire. Il nostro presente non fa eccezione ed oggi assistiamo al conflitto in Ucraina, che purtroppo non è l’unico a divampare nel globo. Così com’è accaduto nei confronti di altre crisi ed emergenze, Taobuk darà il suo contributo, con le sue “armi”, la parola e il pensiero, cercando di indagare i gangli che portano alla rottura degli equilibri e individuare gli spiragli per ricrearli. Uno dei nostri percorsi, l’Osservatorio sul Futuro dell’Europa, è stato pensato come una sentinella per inquadrare le coordinate della geopolitica, convinti che solo la conoscenza e il dialogo possano garantire la convivenza pacifica e il rispetto fra i popoli.
Quest'anno celebrate anche un anniversario speciale, il centenario dalla morte di Giovanni Verga, cosa c'è in programma e tu come vivi la “consolazione” di essere siciliana?
Il centenario della morte di Giovanni Verga è una ricorrenza molto importante che celebreremo con un’installazione di Emilio Isgro, in piazza IX aprile, dedicata ai “Malavoglia”. La narrativa verghiana con la sua oggettività corale, resa anche attraverso l’uso sapiente della “voce popolare”, è la denuncia di una condizione antropologica e sociale. Una verità che nella crudezza con cui emerge dalle pagine addolora. I suoi personaggi sono destinati ad una sconfitta che ci fa rabbia, perché non ci rassegniamo davanti alle ingiustizie della casa del Nespolo, così come a quelle di oggi. Il festival programmerà un ciclo di incontri in cui il maestro Isgro scandaglierà la prospettiva critica verghiana e il suo respiro europeo. Da siciliana, più che la consolazione vivo la speranza e l’energia per continuare sulla strada intrapresa. Taobuk desidera dare un apporto virtuoso operando nella società civile, affinché la Sicilia, che ha sempre dato il suo contributo prezioso nell’area del Mediterraneo, continui a farlo con maggiore incisività, rivendicando la propria centralità geografica, storica e culturale.
Verrà appunto anche un gigante del Novecento come Emilio Isgrò, un nostro conterraneo, che gli hai detto per convincerlo? Che cosa farà?
Emilio Isgrò è sempre stato affascinato dal tema della verità, sul filo del quale sente un legame empatico con Pirandello e Verga. Nel centesimo anniversario della morte del padre del Verismo, era l’artista che meglio poteva rendergli onore, come abbiamo detto. Isgrò è anche l’ideatore del visual in cui sintetizza il tema, accostando alla parola verità un grande punto interrogativo, a sottolineare il ruolo del dubbio sull’investigazione. Sarà anche protagonista di Fuori Cornice, il nuovo format delle mostre elaborato da Taobuk. Un percorso in cui il linguaggio iconologico dell’arte dialogherà con quello narrativo. La vicenda biografica del maestro Isgrò, la sua voce ci guideranno alla scoperta del suo mondo e delle interconnessioni con quello verghiano. La forza della parola, che l’artista siciliano cancella per affermare e ricordare, si collegherà a quella espressiva delle immagini, catapultandoci in un’inedita esperienza estetica. Gli ho chiesto di celebrare Verga con una grande, immensa “cancellatura” dei Malavoglia, una scultura maestosa che ho immaginato in Piazza IX aprile. E lui ha accolto l’invito.
Ecco, la coltivazione del dubbio forse rimarrà come segno di questa dodicesima edizione, sarà quel sentire comune che perseguite da sempre?
Il dubbio è il motore della conoscenza. Se la civiltà si fosse crogiolata sulle certezze non avremmo raggiunto l’evoluzione e la consapevolezza odierne. L’ignoranza socratica, il dubbio di Cartesio, il principio di indeterminazione della fisica moderna ci parlano di questa esigenza che ha spinto gli uomini nel corso dei secoli: se non avvertissimo una mancanza non ci metteremmo in cammino. È certamente arare il campo del dubbio, per avanzare nella conoscenza, può costituire un sentire comune, sulla base del quale realizzare l’osmosi fra le genti, che è il principale antidoto al rischio dei conflitti finanziari e bellici e la via più duratura per la convivenza pacifica.
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