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Roberto Bolle a Taormina per il Bolle&Friends: "Dove c'è arte non c'è guerra"

"Il Teatro Antico è una cornice che unisce uomo e natura". "Vorrei andare a ballare a Kiev"

In principio fu una sbarra. Quella sbarra che è anche una metafora, una specie di punto d’appoggio dal quale sollevare il mondo. L'immagine di un gesto leggerissimo eppure faticosissimo, una leva, un perno. «La maggior parte delle giornate della mia vita sono iniziate così. La sbarra della mattina ti fa prendere coscienza del corpo, ti ritrovi. Altrimenti mi sento opaco, meno lucido. Mi è mancata più di tutto durante la pandemia. Da un giorno all’altro è mancata la prospettiva. Il motore si è fermato».

Ma poi è ripartito. E, finalmente, quel motore lo muoverà fino a Taormina Roberto Bolle («Non tornavo dal 2013, decisamente troppo tempo!») per il gran finale del Bolle&Friends che andrà in scena il prossimo 29 luglio nell’ambito del “Festival Taormina Opera Stars”. Al Teatro Antico, che lui stesso ha voluto come sfondo dei propri spettacoli («Cornice meravigliosa, unica al mondo. Che unisce rovine e prorompenza, uomo e natura»), sarà un repertorio tra classico e contemporaneo. Tra sperimentazione ed un’integrazione.

A Taormina, tra l’altro, ballerà una musica di Ezio Bosso, «un lungo assolo di 10 minuti, l’ho creato per il tour. Introspettivo, che analizza e scandaglia l’anima. E toccante, doloroso com’era la musica di Ezio».

Sperimentare nei modi e nei luoghi. Per strada con On Dance, in tv con Danza con me…
«Il ruolo della tv è enorme, arriva a milioni di persone, parla ad un pubblico eterogeneo. Cambia la percezione, la cultura. Usare questi mezzi è fondamentale. Il pubblico da lì lo porti a teatro».

Più un'arte è alta più è irraggiungibile?
«La cosa più dura da sradicare è il preconcetto che la danza sia un’arte lontana, raffinata quindi incomprensibile. La danza è bellezza, fascinazione, stupore di fronte alla potenza dei corpi maschili, alla leggerezza dei corpi femminili. È un linguaggio istintivo, non ha bisogno di comprensione. Poi chiaro che se hai le competenze tecniche apprezzi la sfumatura. Ma se non le hai, è uguale. Il mio compito è far sentire, non capire».

Perfezione e bellezza sono parenti?
«La perfezione è sopravvalutata. Qualcosa che alla fine non si raggiunge mai, è un anelito ad un ideale. È tensione. Bisogna riuscire a godere delle imperfezioni».

Che c’entra la guerra con l’arte?
«L’arte porta pace, unisce popoli. Dove c'è arte non ci può essere guerra. Perciò vorrei andare a ballare a Kiev, per dare un segnale. Questa è la funzione primaria dell'artista. Arte e cultura danno identità. Ci fa stare meglio, serve quanto le cose materiali. Non è vero che è superflua, è essenziale, nutre l'anima. È ricostruzione».

Nureyev si esibì a Taormina esattamente 40 anni fa. Lui ti scelse per il ruolo di Tadzio in morte a Venezia…
«Nureyev è stato un incontro importante perché mi ha dato consapevolezza che la danza avrebbe potuto essere la mia strada. Avevo 15 anni e grandi dubbi, grandi incertezze su quello che sarebbe stato, che sarei stato. Il suo sguardo, la sua scelta, mi hanno dato la certezza che i sogni potevano diventare realtà».

Sei mai stato bambino?
«Lo sono stato fino a Milano, fino a 12 anni. Dalla Scala in poi, lontano dalla famiglia, i ritmi li ha sempre scanditi la danza. Spesso ero solo, ho dovuto crescere velocemente».

Quando si ha un passato e un presente come il tuo… che futuro si immagina?
«Sono sempre stato ottimista. Non temo ciò che verrà. Non ho paura, anzi. Bisogna essere aperti per accettare. Bisogna avere fiducia nell’imprevedibilità. Quello che mi è successo quando credevo che nient’altro potesse succedere mi ha sorpreso, mi ha portato dove non pensavo, mi ha posto davanti sfide per caso. Ma perfino il caso ha sempre dietro un motivo».

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