Secondo opinione diffusa le Quarantore ebbero origine nel Duomo di Milano intorno al 1534. Le avrebbe concepite il cappuccino Giuseppe Plantamida da Ferno, in memoria delle quaranta ore trascorse da Gesù nel sepolcro prima di risorgere. Si trattava di esporre in forma solenne il santissimo sacramento senza interruzione, appunto per quarant’ore, per propiziarne l’adorazione: una singolare pratica liturgica che Papa Gregorio XIII approvò poi canonicamente.
Ma è pur vero che almeno quarant’anni prima di quel 1534, le Quarantore erano a Messina consuete. Nel 1494, per esempio, il 20 febbraio e il 28 maggio “terribili e spaventose” scosse di terremoto recarono alla città non pochi danni. Dilagò allora il terrore, s’invocò la protezione del cielo, e il Senato ordinò che “venisse pubblicamente esposta la Sacra Eucaristica con l’adorazione di Quarantore nella chiesa del Monastero di Montevergine…”.
Nel 1550, i padri gesuiti, approdati a Messina due anni prima, ottennero che il Santissimo girasse qui da noi “circolarmente”, a turno di chiesa in chiesa, per rimanere in ognuna quaranta ore consecutive, in realtà tre giorni.
Capitava che la chiesa di turno non potesse degnamente accogliere l’ostensorio con l’ostia consacrata, il più delle volte per carenze monetarie, a motivo dell’eccessivo consumo di candele e degli addobbi floreali straordinari: s’interrompeva allora la circolarità, ed era un problema. Il Senato temporeggiò a lungo, ma alla fine rimediò: il Divinissimo che non trovava posto nella chiesa indigente rimaneva esposto nella chiesa di San Gioacchino fino alla ripresa del turno sospeso. E la fantasia popolare presto coniò un bizzarro modo di dire: “…U Signori è a San Jachinu!”, per significare l’assoluta mancanza di moneta sonante, in linguaggio figurato.
Nel 1582, il cappuccino Mattia da Brescia, immaginò una Quarantore tutta pasquale. Predicando il Quaresimale in Cattedrale, propose di esporre proprio lì, nella storica chiesa madre messinese, il Santissimo Sacramento, dalla Domenica della Palme al mezzogiorno del mercoledì santo, senza interruzioni, giorno e notte. Istituti religiosi di ogni genere (confraternite, congregazioni, monasteri…) lo avrebbero adorato a turno. Appena dopo il mercoledì santo - spiegava ancora fra Mattia -, coperto di bianco tulle, il sacro ostensorio sarebbe rimasto così celato per il resto della Settimana Santa, fino al festoso scampanio del Gloria. Una proposta che fu subito ben accolta.
Il terremoto del 1908 cancellò la chiesa di San Gioacchino e bruscamente interruppe la liturgia delle Quarantore. Ma due anni dopo, l’8 settembre 1911, l’arcivescovo mons. Letterio D’Arrigo ripristinò solennemente in Cattedrale “il culto a Gesù in Sacramento sotto la forma delle Quarantore circolari”; il Duomo in baracca sostituiva la perduta chiesa di San Gioacchino. Per merito ancora di mons. D’Arrigo, nel 1913, rifiorì pure la felice consuetudine di esporre il Divinissimo nel Duomo, di continuo dalla domenica delle Palme al mercoledì santo. Di curarla s’incaricavano i Rogazionisti del Cuore di Gesù nella chiesa-baracca annessa all’Orfanotrofio antoniano maschile del canonico Annibale Maria Di Francia, ora Santo.
Le Quarantore ripristinate rientrarono perciò a pieno titolo nella liturgia della chiesa messinese, ma non sappiamo fino a che punto nel rispetto delle plurisecolari modalità che le distinguevano. Rimasero comunque a lungo nella pratica religiosa locale. La madre di chi scrive, nei primi anni del secondo dopoguerra, ricordava ancor ben vive le Quarantore, e ne diceva un gran bene.
(ha collaborato Sergio Di Giacomo)
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