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Quel vascello sullo Stretto... a colloquio con la poetessa messinese Marietta Salvo

Un "ritorno" alla poesia anni dopo il Premio Montale, in una stagione di... versi diversi e ancora uguali e potenti

Fata Morgana, rifrazioni e... miraggi. Un'illustrazione ottocentesca sul tema del "vascello fantasma"

La poesia come andirivieni tra le terre, le epoche, le parole. La poesia come eterno ritorno (come avviene sullo Stretto, dove ogni traversata partecipa dell’infinito, ogni restare è un andare e viceversa). La poesia come corpo dei luoghi e luoghi del corpo, ma anche come parola disincarnata, sillaba da comporre e sciogliere, ritmo puro. La poesia degli amati classici e la poesia delle più splendenti voci eretiche. Ci sono tante possibili definizioni di “poesia” nella raccolta “Vascello fantasma” (Giulio Perrone editore) di Marietta Salvo, poetessa messinese di lungo corso, capitana di molti altri vascelli e vincitrice nel 1989 del premio Montale con la sua prima opera, “Aritmie” (Scheiwiller), seguita nel 1993 da “L’insano gesto” (Il Girasole) e nel 1999 dalla raccolta di prose “Il senso del racconto” (Perap Edizioni).

Una silloge appena uscita nella raffinata collana “Poiésis” di Giulio Perrone, con un’introduzione del prof. Antonio Di Grado, già ordinario di Letteratura italiana all’Università di Catania, che da subito designa la “doppia natura” della poesia di Marietta Salvo, inquieta e fremente eppure di «elegante algore», presa tra la misura classica e le fiamme visionarie, intima e straniante assieme.

Una poesia che – articolata in quattro ulteriori microsillogi (Vascello fantasma, Poesia sparse e perse, Flussi barbareschi e Scintille come soli) – disegna una topografia che è dei luoghi e pure dell’anima: lo Stretto, Messina città di sabbia e «buco lunare», con le sue vie che diventano altrettante evocazioni, sortilegi, chiavi poetiche con cui aprire gli orizzonti. Città e luoghi amatissimi eppure continuamente dolorosi. E il verso talora appare contesa, conflitto, spasimo (e qui c’è una traccia, sonora e fantasmatica, d’un’altra poetessa meravigliosa, guerriera strettese che con la parola combatteva, e che di Marietta Salvo è stata buona amica, Jolanda Insana). Verso da cui uscire, da cui lanciarsi fuori: sono righe abitabili e inquietamente abitate, piene di gesto e di suono, attentamente calibrate e tessute (persino l’apparente “libertà” del verso cela un ritmo metrico classico, pur decostruito dall’interno e rotto in arditi enjambement). E in cui le parole «tempo» e «ritorno» sembrano essere capitali.

Marietta Salvo, questo è un ritorno vero e potente, in un tempo in cui si spezzano i silenzi (il tuo personale, quello collettivo e terribile dello scorso anno). Ma forse era silenzio solo coi lettori, perché la tua contesa-storia amorosa con la poesia non s’è interrotta mai...
«Mai. Il mio rapporto con la scrittura non si è interrotto mai. Già vent’anni fa, quando è uscito il libro di racconti, avevo la struttura d’una silloge pronta. Dentro di me, il lavoro sulla poesia non si è fermato neanche per un attimo, e questo, come al solito, mi ha salvato la vita. Da quando avevo dieci anni è stato così, e pure prima, quando ho sentito che scrivere e leggere voleva dire stare a contatto con una parte di me che mi sembrava sconosciuta e di cui non potevo parlare con nessuno. Il lockdown forse c’entra solo come allargamento del tempo, che ho potuto dedicare al libro che volevo costruire. E lì le sillogi si sono organizzate quasi da sole».

Partiamo dal titolo: perché vascello e fantasma?
«La parte “Vascello fantasma” comprende anche poesie più antiche rielaborate: il vascello che ha un significato legato al mare, allo Stretto, ma anche al carico di fantasmi, di assenze, di persone e cose perdute che si porta dietro e, come quello dell’Olandese Volante, si presenta all’improvviso, quando vuole lui. Il carico fantasmatico è il dolore, ma può essere un dolore creativo, produttivo, e allora diventa speranza, come il suo viaggio».

Come la poesia: volgere il dolore in bellezza.
«Rivedere e rielaborare, questa è la strada: non solo per parole e versi, ma per la vita stessa».

La parola “fantasmi” è un segno forte, che fa pensare a una tua importante parentela: sei la zia, amatissima, di Nadia Terranova, la scrittrice dello Stretto che in particolare con “Addio fantasmi”, ambientato a Messina, è arrivata non solo alla cinquina dello Strega, ma nel cuore di migliaia di lettori. C’è una parentela tra le scritture - i fantasmi che ci abitano e le abitano - una “comunicazione fantasmatica”, e un nesso profondo tra donne che scrivono, scenari, luci dello Stretto, presenze?
«Non è voluta, ma c’è certamente una comunanza tra le scrittrici dello Stretto, nella nostra grande diversità. Il titolo “Vascello fantasma” peraltro esiste dal 1985. Io mi ci riconosco, ma forse ancora di più nei “Flussi barbareschi”, dove è più forte il senso delle “invasioni”, del sentirsi legata a questa lingua di sabbia tra Stretto e colline, terra di attraversamenti. scuotimenti e conquiste. Terra che patisce e subisce conquiste e attraversamenti ma è in grado di trasformarli in maniera vitale».

Parliamo di altre voci, di altre costruzioni sulla «lingua di sabbia»: Jolanda Insana, Sara Zanghì. E poi i modelli d’ogni tempo, da Anne Sexton a Silvia Plath, da Amelia Rosselli a Ingeborg Bachmann.
La tua è una poesia che smaterializza, apre spazi, si sporge sull’abisso, è alta e colta, eppure è profondamente radicata nel corpo, nei luoghi, nella loro vischiosa concretezza, che tu menzioni per esteso, facendone quasi una mappa per il lettore.
«Questo è il risultato dei “flussi barbareschi”, delle invasioni e commistioni che dicevo: ho lavorato molto sul ritmo, la musicalità del verso. Cerco il suono dell’emozione che ho provato. E il luogo è il luogo del risonare di quel che ho provato, diventa immagine perduta, fantasma, carico del Vascello. Per questo ho scelto anche parole dialettali in origine, ma poi molto lavorate per portarle alla mia “visionarietà del reale”, e la topografia è simbolo di questo: le visioni nei miei luoghi, dei miei luoghi, che si trasformano e mi trasformano. Come tutti , mi sono confrontata con le idee stereotipate di Messina città senza identità, senza storia, ed è come se mi fossi creata, attraverso il mio lavoro continuo sui “flussi barbareschi”, sui nomi, sulle parole, sulle assenze, sui fantasmi, una nuova speranza, un’identità forte».
Il libro sarà presentato domani alle 18 alla chiesa di Santa Maria Alemanna nell’ambito degli “Incontri d’Autore” della kermesse “Alemanna. Storie di cultura” promossa dal centro multisperimentale Progetto Suono in collaborazione con la Feltrinelli Point. In collegamento da Roma ci sarà la scrittrice Nadia Terranova.

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