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“Coefore” ed “Eumenidi” a Siracusa, tra vendetta e giustizia

La reggia e la tomba rappresentano i segni memorativi dei fatti da cui prende le mosse la vicendaLe Erinni, antiche dee che puniscono i delitti contro i consanguinei, dovranno diventare “benevole” protettrici

Sono due i fuochi di interesse della scena delle “Coefore”, secondo atto della trilogia sul mito di Oreste (“Orestea”) con cui Eschilo vinse la sfida degli agoni tragici del 458 a.C., attualmente in scena a Siracusa per la stagione dell'Inda assieme alle “Eumenidi” con la regia di Davide Livermore: la reggia degli Atridi e la tomba di Agamennone. La reggia è il centro propulsore della vicenda, momento conclusivo della storia di una famiglia, spinta alla sua dissoluzione dai profondi conflitti che la lacerano. Qui la donna «dai maschi pensieri», la regina Clitennestra, con la complicità del suo amante Egisto ha ucciso a tradimento il marito, tornato vittorioso dalla guerra di Troia, assieme alla principessa Cassandra che egli ha portato con sé come concubina, avviluppandolo in una rete e colpendolo con una spada durante il bagno. Lo ha fatto per punire il sacrificio della figlia Ifigenia, preteso da Artemide affinché la flotta greca, bloccata da venti sfavorevoli, potesse salpare per Troia, e da allora i due assassini regnano su Argo, dove hanno instaurato un clima di terrore. Quella morte, però, è anche il frutto di una maledizione che grava sulla stirpe degli Atridi e che ha già prodotto un altro efferato evento: il banchetto delle carni dei figli imbandito dal padre di Agamennone, Atreo, al fratello Tieste per punirlo di avergli sedotto la moglie, di cui il solo sopravvissuto è Egisto, che ha ottenuto la sua vendetta con la morte del re. La reggia e la tomba rappresentano, pertanto, i segni memorativi dei fatti da cui prende le mosse questa tragedia e insieme la sintesi figurativa del suo significato.

Nella società rappresentata nel dramma, infatti, «è legge che gocce di sangue sul suolo versate / altro sangue richiedano». È in nome di tale concezione retributiva della giustizia che Apollo ha ordinato a Oreste di tornare in patria per uccidere gli assassini del padre, minacciandogli, in caso contrario, la persecuzione delle Erinni, le antiche divinità che puniscono i delitti contro i consanguinei, e l'esclusione dal consorzio umano. Parimenti, è per la consapevolezza di questa norma etica che Clitennestra è atterrita dalla visione che la sveglia di soprassalto nel cuore della notte: ha sognato, infatti, di partorire un serpente, di avvolgerlo in fasce e di allattarlo, e che quello, insieme con il latte, le succhiava anche un grumo di sangue. Come Cassandra aveva predetto prima di morire, il giorno in cui il rampollo del re sarebbe tornato a ristabilire, con la vendetta, l'ordine etico violato è infine giunto e il tentativo di placare il rancore del morto inviando sulla tomba le schiave di casa assieme alla figlia Elettra con offerte votive (sono loro il coro delle Coefore, ovvero le portatrici di libagioni, da cui il titolo del dramma) è inevitabilmente destinato a fallire.

Quando le Coefore invitano Elettra, con cui condividono l'odio per i tiranni, a trasformare l'offerta funebre in una preghiera per l'arrivo di un giustiziere che «dia morte in contraccambio», quel giustiziere, infatti, è già arrivato e ha deposto anch'egli un'offerta votiva su quella stessa tomba: un ricciolo (che sulla scena siracusana diventa un proiettile d'oro), che sarà il primo indizio del riconoscimento tra i due fratelli.

Dopo la lunga lamentazione funebre in cui Oreste ed Elettra, oltre a rendere al morto gli onori che non ha ancora avuto, ne chiedono il sostegno, aizzandosi a vicenda alla vendetta in un crescendo parossistico, Oreste è emotivamente pronto a compiere il suo atto; la partecipazione di Agamennone, di cui l'enorme sfera girevole sulla scena a Siracusa riproduce a questo punto le fattezze, è un'invenzione di Livermore, ma perfettamente in sintonia col dramma greco, dove è il contatto fisico con la tomba a assicurare la comunicazione con il morto.

Non resta ora che elaborare un piano: Oreste fingerà di essere uno straniero venuto a portare la notizia che i sovrani attendono per sentirsi al sicuro, quella menzognera della propria morte, cosicché, ottenuta ospitalità a palazzo, potrà compiere la sua vendetta. Mentre la punizione di Egisto, però, è aproblematica (forse anche per questo nella messa in scena siracusana a compierla è Pilade, cugino di Oreste che in Eschilo resta un personaggio muto fino al contrasto finale tra il protagonista e la regina), il matricidio rappresenta invece un bivio tragico, che espone Oreste alla persecuzione delle Erinni di Clitennestra. Se già l'esibizione del seno da parte di lei, allusivo del legame biologico che li unisce, lo ha fatto indietreggiare, tanto che è toccato a Pilade ricordargli la necessità di obbedire al dio, Oreste sa che il suo gesto comporta una contaminazione da cui purificarsi: e infatti la tragedia si chiude mentre lui fugge a Delfi, al santuario di Apollo, tormentato dalla visione delle Erinni.

Solo nelle “Eumenidi”, una tragedia dai grandi effetti di scena (vi compare anche il fantasma di Clitennestra, mentre l'antica biografia di Eschilo racconta che l'aspetto spaventoso delle Erinni provocasse aborti e svenimenti), la catena della faida si spezza. Variando la tradizione preesistente, Eschilo fa infatti assolvere Oreste - in un'Atene che rispecchia la contemporaneità del poeta - dal tribunale dell'Areopago, istituito dalla dea Atena alla fine di un processo celebrato secondo le norme ateniesi, la cui votazione si conclude in parità. A questo tribunale, alter ego delle Erinni sul piano delle istituzioni umane, spetta adesso ispirare quei sentimenti di reverenza e paura di cui le antiche dee rivendicano l'importanza quale garanzia della pacifica e ordinata convivenza civile, mentre le Erinni, convinte da Atena a deporre odio e minacce, diventeranno benefiche protettrici della città (di qui il titolo di Eumenidi, letteralmente “Benevole”) trovando ad Atene sede e culto.

C'è, in questa valorizzazione dell'Areopago, un'allusione alle tensioni politiche seguite alla riforma istituzionale del 462 a.C.. Ma il messaggio politico di Eschilo va oltre il dato cronachistico, e consiste nella celebrazione della giustizia nella forma esercitata da un'autorità pubblica e secondo una procedura definita all'interno delle istituzioni cittadine. Nella conclusione, dove l'alleanza di Argo con Atene è trasformata da offerta di Oreste per grazia ricevuta in strumento con cui Apollo vuole influenzare il processo, e dove la forza dell'autorità statale è sconfessata dagli episodi della modernità rappresentati nella sfera (una galleria di stragi, delitti, casi irrisolti), risiede pertanto la più suggestiva e ardita attualizzazione del testo antico da parte di Livermore.

* Professore associato di Filologia classica e Drammaturgia classica Università di Messina

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