La musica nelle maglie di una narrazione che, tra ironia e amarezza, scandisce le fasi di un’amicizia e i passi di una formazione; perché il potente richiamo delle note unisce gli uomini, ma può anche dividerli se diventa qualcosa di vitale e irrinunciabile. “Boys” di Davide Ferrario, film d’apertura del festival nella serata di domenica - e presentato ieri alla stampa (dal regista con la sceneggiatrice Cristiana Mainardi, Mauro Pagani e il cast) - è tutto questo. Ambientato oggi con molti flashback sugli anni ’70, la sua genesi è soprattutto figlia del nostro tempo, di una personalità matura che riflette sul valore di un sodalizio e sulla forza trainante della passione.
«Sentivo l’esigenza di raccontare l’amicizia e il valore dei sogni – ha detto l’ideatrice e co-sceneggiatrice Cristiana Mainardi - e la voglia di farlo in un’età in cui non è così scontato avere il desiderio e l’energia per realizzarli, con un gruppo di amici legati a una passione vera; perché la musica è un linguaggio universale e per chi la ama è davvero difficile smettere di frequentarla». Dopo la scelta di Davide Ferrario come regista e co-autore, secondo step col grande maestro Mauro Pagani. «L’ho scelto come autore della colonna sonora non solo per la sua carriera, ma per la sintonia umana tra noi».
Le musiche del film nascono invece spontaneamente sull’ascolto di provini anni ’70, tenuti da parte per decenni da Pagani e rimasti inediti a causa dell’imperversare del filone dance anni ’80. «Per chi li ha vissuti quegli anni sono stati indimenticabili – ha aggiunto Ferrario - con molte più possibilità di prospettiva rispetto a oggi; ma per comunicare questo era importante puntare più sulla spontaneità dei personaggi che sul loro essere “tipici” di quel periodo. Il film, contrariamente ad altri lavori di quegli anni, non parla di politica, perché la storia è quella di un’amicizia e l’amicizia non si basa su idee astratte ma su elementi importanti e concreti immersi nella quotidianità. Ci tenevo che i Boys fossero, come dice Marcorè nel film, una banda di “cazzoni” e rappresentassero se stessi».
I ragazzi sempreverdi del film sono infatti quattro amici storici, Joe (Marco Paolini), Carlo (Giovanni Storti), Bobo (Giorgio Tirabassi) e Giacomo (Neri Marcorè), uniti dall’amore per la musica che negli anni Settanta li aveva portati a un successo tanto roboante quanto momentaneo col nome “The Boys”. Nella loro routine - tra vicende amorose e personali - irrompe una possibilità che li porta entro un nuovo viaggio, costringendoli a fare i conti con i sogni e le ambizioni di un tempo e il mondo di oggi; ma ancor più a scoprire il senso della loro amicizia. Un’amicizia importante, quindi, come lo sono i sogni in comune che la sostengono, veicolati dalla musica. «La caratteristica principale di ogni gruppo che ha scritto e composto negli anni 70 – ha aggiunto Pagani - era il legame diretto tra quello che si faceva e la capacità di sognare. Oggi si insegna a non sognare troppo e accettare la dura realtà, come se sognare fosse una forma di debolezza; invece, pur essendo a volte doloroso, il sogno tiene vivo il mondo e beati coloro che sono in grado di immergersi. Questa è la storia di gente ancora capace di farlo».
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