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Laura Imai Messina a Taobuk, ciò che taciamo scompare

Domani la scrittrice sarà all’Horcynus Orca messinese

La scrittrice Laura Imai Messina

Dal Sol Levante, giunge sempre più nitida la prosa di Laura Imai Messina, autrice romana che a ventitré anni si è trasferita a Tokyo e oggi insegna italiano in alcune tra le più prestigiose università della capitale giapponese. Autrice di saggi e libri per ragazzi, best-seller con “Quel che affidiamo al vento “(in corso di traduzione in oltre venti Paesi, e i cui diritti cinematografici sono stati opzionati da Cattleya), torna in libreria con un nuovo romanzo, “Le vite nascoste dei colori” (Einaudi, pp.328 €18,50). Un grande viaggio culturale seguendo la crescita di due protagonisti – Mio e Aoi – un uomo e una donna, le cui voci e punti di vista si sommano e annullano, una narrazione emozionante e densa di colpi di scena, sino all’ultima pagina.
Ossessionata dal colore e dall’esattezza delle parole – «nero mezzanotte con una punta di luna, indaco che sa di mirtillo, giallo della pesca matura un attimo prima che si stacchi dal ramo» – per tutta la sua vita Mio avrebbe sempre cercato il colore intimo di ogni persona, quella sfumatura unica, precisa, che la riassumeva; così facendo, Laura Imai Messina ci prende per mano in un nuovo percorso nella cultura nipponica, giustapponendo l’arte di confezionare kimono di Mio al mondo di Aoi, nei meandri della tanatoprassi – l’insieme delle tecniche di conservazione e presentazione estetica dei defunti – creando in pagina un delicato equilibrio fra vita e morte, verità e bugia, luce ed ombra.
Rientrata finalmente in Italia per presentare il suo romanzo, Laura Imai Messina oggi sarà al festival Taobuk di Taormina (ore 16, Palazzo Ciampoli) e domani incontrerà il pubblico a Messina (ore 19, Lido Horcynus Orca).
Qual è stata la scintilla per “Le vite nascoste dei colori”?
«Inizialmente volevo scrivere un saggio sui colori tradizionali del Giappone e ho iniziato un viaggio che mi ha affascinato sempre di più, sino a far sbocciare una storia d’amore fra i due protagonisti».
A ben vedere, si tratta di un percorso nella ricercatezza delle parole, nelle sfumature della lingua. È così?
«L’individuazione della parola esatta per cogliere le sfumature dei colori diventa un’ossessione per Mio lunga tutta la vita. Quante più parole sappiamo e sentiamo, chiamando in causa i sentimenti, più riusciamo a decodificare il mondo che ci circonda».
Scrivi che «ciò che non si menziona, sparisce».
«Mi ossessionano i nomi, il loro impatto sul corso della vita di una persona e credo davvero che ciò non ci diciamo finisca per non esistere. Scrivere, per me, è toccare tutti i sensi tramite l’uso della parola, riuscire ad arrivare ad un pubblico più ampio possibile senza perdere l’eleganza o smarrire la profondità dei sentimenti. Usare termini complessi solo per impressionare non fa per me».
Mio s’interroga sul colore che ci rappresenta. Cosa significa?
«È una metafora sull’essenza di ciascuno. Individuare la nostra tinta significa cogliere il seme, le nostre radici e così come un colore può sfumare, la nostra essenza può irrobustirsi, cambiare percorso in risposta ai fatti della vita».
Mio cerca le parole perfette per rendere i colori mentre Aoi cita spesso Emil Cioran. Un gioco di contrasti?
«Cioran fa parte di me, aveva già dato il titolo ad un mio romanzo, “Non oso dire la gioia” (Piemme). Non è solo il filosofo nichilista ma uno degli scrittori più potenti, capace di usare la lingua con una disinvoltura senza pari. Le sue parole sono stilettate, i suoi libri mi accompagnano da sempre».
Un libro che esalta la vita ma racconta la morte. Una cosa non esclude l’altra?
«Affatto. La fine della vita nella cultura giapponese è accettata, anzi, fa parte del percorso. Un cambio di prospettiva fondamentale se pensiamo che, nella cultura occidentale, la morte viene intesa come uno squarcio».
Libro dopo libro, il tuo racconto del Sol Levante è sempre più stratificato. Cosa dovremmo cogliere?
«La complessità, la molteplicità dello sguardo. Non esiste una sola prospettiva culturale, serve un approccio che conservi intatta la meraviglia. Come cambia la vita, se la diversità diventa, finalmente, un valore?».

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