Un tema affascinante, la Metamorfosi, scelto per l’undicesima edizione di Taobuk, con una riflessione che ha creato comunità e che nella serata di gala al teatro antico di Taormina, condotta da Antonella Ferrara, ideatrice e direttrice artistica di Taobuk, e dal giornalista Rai Alessio Zucchini, ha accolto e premiato alcune tra le eccellenze della letteratura e dello spettacolo. Un orgoglio – ha ricordato Antonella Ferrara – avere al centro della scena grandi scrittori, artisti e musicisti nel ricordo del maestro Franco Battiato cui è stata dedicata la serata. Le note e le parole di “La cura”, infatti, si sono levate a «salvarci da ogni malinconia» nell’esecuzione del pianista e interprete Giovanni Caccamo, accompagnato dall’Orchestra Sinfonica del Teatro Bellini di Catania. E come sempre spazio alla musica, alla danza e alle emozioni con la cantante Simona Molinari e l’étoile Sergio Bernal. E poi i Taobuk Award 2021 agli scrittori Emmanuel Carrère e David Grossman e all’artista Michelangelo Pistoletto. E ancora i premi per gli attori Claudia Gerini e Antonio Albanese, assieme ai cantanti Simona Molinari e Giovanni Caccamo. Non poteva infine mancare l’omaggio di Taormina Book Festival a Dante, nel 700° anniversario della morte, con l’intervento di Aldo Cazzullo, autore di “A riveder le stelle”, e la lettura di due canti della Commedia da parte dell’attore Fabrizio Gifuni. La prima tappa, questa al teatro antico, di un ciclo di appuntamenti e letture dantesche organizzato dal Centro per il libro e la lettura. Dunque, continuano a riguardarci le “Metamorfosi” di Ovidio, perché al di là della favola bella, esse ricordano che l’incertezza e il cambiamento costituiscono forse la visione della realtà in cui credere fermamente. «Quando mi hanno invitato a Taobuk, pensando alle “Metamorfosi” di Ovidio, che ho riletto in una traduzione consigliatami da un amico latinista, ho pensato che la vita stessa è metamorfosi e che le due cose si sovrappongono. Ma la vera cosa che non cambia, è che tutto cambia e si trasforma». Ne è convinto Emmanuel Carrère, scrittore, sceneggiatore e regista francese tra i più amati della scena letteraria internazionale. Tra i suoi libri più noti il molto pirandelliano “I baffi”, “Limonov”, “L’avversario” sul caso tragico di Jean-Claude Romand, “Il regno”, una riflessione sul cristianesimo, a partire dalle vite degli evangelisti Luca e Paolo. Ma dalle vite degli altri alla ricognizione dell’io, il passaggio è proprio della cifra letteraria di Carrère che nell’ultimo romanzo, “Yoga” (Adelphi, traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala), procede con un fluire tanto erratico quanto quello dell’io interiore, partendo sì dalla sua vita e dai suoi demoni che cerca di combattere con la pratica della meditazione da lui ben conosciuta, ma finendo per fissare tanti infinitesimali momenti dei moti interiori suoi e di tutti noi. Ma senza giudicarli. E del resto, come scrive in “Yoga”, «non si giudicano i pensieri, come non si giudica il prossimo. Bisogna prenderli per quelli che sono, vederli come sono. Che poi è la definizione forse più esatta della meditazione stessa: vedere le cose come sono». Quando gli chiediamo se con questo libro è riuscito a calmare le sue “vritti”, sorridendo, dopo aver spiegato cosa sono le “vritti” e cioè i movimenti che agitano la mente, e ci impediscono di vedere le cose come sono, dice: «No, non ci sono riuscito del tutto, volevo dare loro un colore, accomodarle, calmarle almeno un pochino, ma ciò significherebbe liberarsi dalla vita. E d’altra parte quello che lo zen giapponese chiama satori, e cioè liberazione, illuminazione, credo sia al di fuori della nostra portata». Ebbene, lasciato da parte il punto di vista massimalista del maestro Patañjali, vissuto due tre secoli prima di Cristo, sicuramente Carrère, cercando di calmare le “vritti” ha scritto il suo “Yoga”. Ma alla domanda su cosa si senta di dire in quanto scrittore a tutti coloro che sono smarriti in questo tempo smarrito, risponde francamente di non avere certezze e di essere sì un narratore, ma di farlo «a tastoni». E se è vero che lo scrittore si mette a nudo con la scrittura, «noi scriviamo quel che vogliamo di noi stessi e se si arriva ad averne vergogna è meglio non farlo». Affascinato dai miti, Carrère si riconosce in Prometeo, perché gli piace il suo «giocare con il fuoco», di essere incuriosito da Icaro, ma sicuramente di scegliere Ulisse e non Ettore, e cioè chi sa cavarsela e non l’eroe. Quanto agli scrittori siciliani preferiti, al di sopra di tutti c’è Leonardo Sciascia, al punto di averne letto in italiano “Il contesto”, “Todo modo” e “La scomparsa di Maiorana”. Quando il discorso cade sulla felicità, se la salute mentale, secondo Freud – come scrive in “Yoga” – consiste nell’essere capaci di amare e di lavorare, lo scrittore, dopo un periodo difficile «in cui la vita e la propria configurazione psichica fa precipitare nel disagio e nello straniamento» ha ricominciato a lavorare e ad amare. E “Yoga” con il suo racconto anarchico e viandante parla proprio di questo ricominciare vivendo il cambiamento proprio dell’esistenza.