Un dialogo, quello con Ovidio, dal quale non può prescindere Luciano Canfora, storico dell’antichità e coltissimo filologo, presente a Taobuk (di cui è membro del Comitato scientifico), in una riflessione con Andrea Montanari su “La metamorfosi del secolo breve” (domani, ore 17, Palazzo Ciampoli). Tra i suoi libri più recenti “Il tesoro degli ebrei. Roma e Gerusalemme” (Laterza, 2019), “La conversione. Come Giuseppe Flavio fu cristianizzato” (Salerno, 2021) e “La metamorfosi” (Laterza, 2021, pp. 96, euro 12).
Professore, la metamorfosi, un archetipo del mito, viene declinata in varie forme in questa edizione di Taobuk.
«La metamorfosi, di cui Ovidio ha fornito un grande campionario attingendo alle leggende mitologiche, è la metafora della “storicità” della realtà naturale e umana. Solo l’intento di esprimere tale pensiero fisico-filosofico può aver spinto Ovidio a costruire quel colossale poema mitico-fisico. E non è casuale che egli si richiami con entusiasmo a Lucrezio, fondatore, per il mondo romano, della scienza fisica e divulgatore della teoria atomistica».
In quale modo il mondo è cambiato, se è cambiato, a causa della pandemia?
«Sull’origine di questo grande turbine sanitario che ha investito il pianeta si scontrano teorie tra loro molto diverse e purtroppo mai neutrali e spesso reticenti. Molto di ciò che sta accadendo è dovuto a politiche sbagliate. Quanto alle previsioni sul futuro, alle quali spesso ci si abbandona, meglio non farne, soprattutto nel fatuo clima euforico che da ultimo ci ammorba. La sola conseguenza visibile s’è già vista: è cresciuta la disuguaglianza tra chi se la passa male e chi sta traendo profitti ingenti».
Professore, lei ha sempre avuto una visione lucida sull’Europa. Ma com’è questo “gigante incatenato”?
«L’Unione Europea ha dovuto, di necessità, sospendere (poiché questo conveniva anche ai paesi più forti) i vincoli punitivi (economici) che avevano reso invivibile la convivenza e tragica la prospettiva ai paesi più indebitati e perciò martirizzati. Ci dicono che la sospensione non andrà oltre l’anno prossimo e che nel 2023 “la ricreazione è finita”. Se davvero sarà così, è probabile che l’Unione si disfi. Altrimenti assisteremo ad un radicale ridimensionamento delle regole più feroci delle quali i sacerdoti dell’ “europeismo” si erano fino a qualche tempo fa compiaciuti. E sarà un bene. Ma bisognerà comunque scrollarsi di dosso il giogo americano».
Di quali cambiamenti abbiamo bisogno? Da quali condizioni non torneremo indietro?
«Perché i gruppi sociali più deboli possano tornare a contare sarà necessario recuperare almeno una parte della sovranità che abbiamo ceduto alla leggera. Paesi come la Francia, in verità, non l’hanno mai ceduta (salvo aspetti formali). E soprattutto sarà necessario annullare l’ “accordo di Dublino” relativo alle norme concernenti l’accoglienza dei migranti. Non sarà per nulla facile: l’egoismo dei “forti” non è stato finora scalfito, su questo terreno».
In occasione di un centenario storico, lei s’interroga sulla metamorfosi del Partito Comunista.
«Nato nel 1921, rinato, in forma totalmente diversa, nel 1944, cambiando il nome da Partito comunista d’Italia a Partito comunista italiano (differenza non trascurabile), con un maggior radicamento nella situazione italiana e nel rinnovamento democratico del Paese. Questo “partito nuovo” aveva come orizzonte la socialdemocrazia, per tenere insieme il Paese, vedere nelle norme della vita democratica e costituzionale un aiuto per una costruzione socialista. Ma la linea togliattiana, da me condivisa, dopo la sua morte conosce conflitti, cambiamenti e disastri, sino all’89-90 quando il partito si scioglie con i successivi tentativi abortivi e povertà ideologica del Pd. Ma c’è pure l’auspicio che si possano riprendere quelle che erano le idee togliattiane».
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