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Parla la messinese Cristiana Minasi: "Noi artisti del teatro dobbiamo ricominciare a creare"

Stasera su RaiRadio3 alle 22.30 il pluripremiato spettacolo "Due passi sono"

"Due passi sono". Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi in scena

Andranno “in scena” stasera, sotto forma di... dramma radiofonico: alle 22,30 su RadioRai3 in onda lo “storico” spettacolo della Compagnia del reggino Giuseppe Carullo e della messinese Cristiana Minasi, il pluripremiato “Due passi sono” (che poi resterà disponibile su RaiPlay). È uno dei modi di resistere, di restare in scena nel tempo dei teatri chiusi. Ma non basta.

«Ci piace sottolineare – dice Cristiana Minasi – che la Rai dopo tanto tempo continua a ricordare e riconoscere in questo piccolo spettacolo una modalità di resistenza in cui la vita e la morte sono in un continuo confronto dialettico. Siamo molto fieri di essere assieme a grandi nomi del teatro contemporaneo che in questo momento fa fatica ad esistere dal vivo ma che trova nuove forme, in realtà forme originarie ed antiche. Nella nostra infanzia abbiamo ascoltato tanto teatro attraverso la radio, che diventa il nuovo strumento attraverso cui veicolare contenuti poetici di forza e resistenza condivisa».

Ma resistere non basta, bisogna da ora ripensare alla ripartenza: perché il teatro comincia molto prima del momento in cui si alza il sipario, e perché non si può, non si deve abbandonare una generazione di artisti. Gli artisti sono il tesoro della comunità, e sarebbe il momento di riconoscerlo. Su questo Cristiana Minasi è decisa: «Il teatro in radio è una cosa effettivamente straordinaria, ma la dimensione rituale di una partecipazione collettiva è una cosa diversa, profondamente necessaria. Riteniamo che il punto in cui siamo è molto difficile. Anche se dovessero aprire i teatri è mancata e manca ancora la visionarietà della programmazione. Riteniamo imprescindibile organizzarsi da subito».

C’è in gioco ben più che una sopravvivenza “economica”: «Le istituzioni, nazionali e locali, non abbandonino un’intera generazione di artisti che hanno portato alto il nome di Messina. La cittadinanza ha bisogno di teatro, ha bisogno di “essere insieme”. Laboratori, ascolto, progetto: è un dovere etico. Io non so chi pagherà il danno di questo sperpero: rischia di morire un comparto intero, un’intera generazione. E non è un problema degli artisti, è un problema della città, che perdendo i suoi artisti perde la possibilità di credere in un futuro. Chiediamo con rispetto di non sperperare un capitale umano e artistico che non si potrà più far rivivere».

È un problema nazionale e collettivo. Quali azioni di sostegno sarebbero possibili?
«Promuovere e valorizzare le idee. Riteniamo che per questo problema nazionale, che a Messina si amplifica, da subito bisognerebbe cominciare a ragionare per i prossimi tre anni, dando immediatamente agli artisti l’opportunità di lavorare, di ideare. Sta succedendo in tantissime situazioni, penso al Regio di Torino, che aprono spazi immensi dove gli artisti possano collaborare tra loro e aprirsi anche via streaming, analizzando i testi che magari poi potranno mettere in scena per le scuole. Potrebbe essere una forma alternativa ma interessante, anche senza spettacolo dal vivo, che comunque può prendere mille forme. Bisogna assolutamente e immediatamente mettere in atto delle azioni, ecco la parola giusta: azioni. I sostegni non si devono ridurre a ristoro economico. Ci vuole un percorso artistico, che deve partire da subito».

In questo difficile anno, la Compagnia Carullo Minasi non è stata ferma: la loro idea di teatro come laboratorio attivo di relazione, di cittadinanza, di ascolto è incompatibile col silenzio: il Delivery Theatre, il lavoro al centro educativo messinese Il Melograno, la residenza digitale all’Aquila “Di generazione in generazione” (prendendo spunto da oggetti: gli anziani partivano da un oggetto della loro memoria e il loro racconto veniva “ritradotto” dai giovani in un fatto-azione d’arte).

«Il nostro è stato un anno di grandi sperimentazioni anche molto stimolanti – dice Minasi – . Il pubblico è diventato direttore artistico e ci siamo dovuti adattare, come funamboli, alle sue richieste. Una dimensione che ci ha restituito la necessità di stare in mezzo alla gente, ma vorremmo che questa missione politica e poetica divenga un’abitudine per riportare il pubblico dalla strada al teatro. Siamo usciti fuori dal teatro per ritornare al teatro più numerosi. Ci ha chiamati anche Dacia Maraini dal suo festival il Teatro sull’acqua, con cui abbiamo collaborato tante volte, e lì ci metteranno a disposizione una piccola orchestra itinerante. Questa può diventare una nuova forma attraverso cui condividere “pezzi” più agili di teatro in varie parti d’Italia. Ma è chiaro che non è questa la dimensione esclusiva a cui vogliamo riconoscere la potenza del teatro. Il teatro ha bisogno anche delle sue partecipazioni più ampie, delle sue scenografie. Noi vogliamo assolutamente tornare al teatro, alla scatola magica. ».
Ascoltiamoli. Stasera e non solo.

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