Il procuratore Salvatori che mastica amaro mentre vaga e indaga di morti ammazzati sui Nebrodi, nell’entroterra siciliano del Messinese, dove la mafia s’è insediata sin dalla fine dell’Ottocento e per decenni ha costituito un antistato prolifico, che guadagnava denaro e incrementava il suo potere col sangue. Dubbi, ricognizioni sul luogo del delitto, ricostruzioni della scena, dialoghi con la gente del posto e sul posto per comprendere una terra difficile, ancorata al passato remoto e affetta dal morbo sottile che Bufalino chiamava “sicilitudine”. C’è questo e tanto altro nel nuovo libro di Andrea Apollonio, magistrato pugliese adesso in servizio a Patti, “guardacaso” una Procura dei Nebrodi, non nuovo a fatiche letterarie. Un libro che s’intitola “I pascoli di carta” ed è edito da Rubbettino per la collana Velvet. È un romanzo, c’è dentro il filo conduttore della mafia dei pascoli che per decenni ha lucrato sui fondi europei per l’agricoltura rubando il futuro agli allevatori onesti, che non avevano spazio per coltivare le loro terre terrorizzati da Cosa nostra. Un filo legato agli ultimi avvenimenti che hanno visto al centro e di sottofondo letterario la catena di omicidi degli ultimi anni e l’attentato all’allora presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, il quale ha scardinato questo business con il suo Protocollo di legalità. Sono dodici i capitoli in cui s’immerge il sostituto procuratore Salvatori mentre indaga, ma soprattutto cerca di comprendere questa terra amara di mafia e antimafia, di bianco e nero che rasentano molto il grigio, di “luce e lutto”, tra verità nascoste e spesso troppo riservate. Il racconto si snoda ad Alzapietra, un paese dell’entroterra siciliano arrampicato sui monti Nebrodi, dove una ditta sta curando la manutenzione di alcune pareti rocciose che rischiano di franare sull’abitato. Ad una richiesta estorsiva in stile mafioso segue un duplice omicidio: tra i cadaveri, il direttore dei lavori che non si era sottomesso al ricatto, sfregiato da un colpo di lupara in faccia. Tutto appare una logica concatenazione di eventi, come tante altre volte è già tragicamente accaduto in Sicilia nel campo dell’edilizia e del commercio. Ben presto emergerà invece, dietro la facciata delle cose, l’interesse bramoso per i terreni comunali da pascolo: appezzamenti da prendere in affitto e trasformare in miniere d’oro, grazie ai fondi comunitari erogati senza alcun controllo. A dirigere le indagini c’è appunto il sostituto procuratore del paese di Pasicò, il dott. Salvatori, alla sua prima esperienza giudiziaria, che si trova da soli quattro mesi sull’Isola. È nasce una storia dalla meccanica investigativa serrata e complessa, che arriva a svelare la misteriosa essenza della nebroidea “mafia dei pascoli”: le infiltrazioni nella borghesia regionale, i collegamenti con Cosa nostra, gli attentati agli uomini dello Stato. Una storia che, al contempo, rivela chi siano oggi i veri “padrini” siciliani, accantonate la lupara e la coppola, la violenza e le stragi. Ci sono le amarezze del lavoro e della vita in questo libro, l’approssimarsi delle difficoltà davanti a quei mafiosi che non vogliono mollare l’affare milionario, il coraggio di respingerli e bloccarli, tra interrogativi che tolgono il sonno mitigati dal sole improvviso e da un temporale rinfrescante di fine estate. Ma soprattutto c’è la necessità forte di redimersi per una terra che qualcuno, non molto tempo fa, definì sconsolato “irredimibile”.