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La Pira e i suoi anni messinesi

Si stabilì da uno zio dal 1914 al 1926 e compì i primi studi in legge. Fu un periodo davvero decisivo sia per la sua formazione che per la dimensione affettiva

Un prodigio. Così Giorgio la Pira appariva a chi lo incontrava, spettacolo e segno di un orizzonte più grande. Carismatico, ardimentoso, instancabile, contagioso e sempre sorridente. A Ho Chi Minh un giorno così ripose: “Non chiamarmi profeta per favore, chiamami cristiano siciliano” (P. A. Carnemolla, Un cristiano siciliano). Si perché La Pira siciliano lo era, ma anche messinese d’adozione. Visse nella nostra città dal 1914 al 1926.

“Il giovanetto di Pozzallo divenuto professore e sindaco di Firenze ebbe particolare predilezione per Messina? La risposta è pienamente affermativa… sono testimone del ricordo vivo e grato che Giorgio ebbe sempre per Messina... di quegli articolati incontri tra La Pira e i coetanei, che si accinsero a recare a Messina il loro contributo, con Quasimodo alla poesia, con Pugliatti al diritto, con La Pira alla civiltà cristiana”. Cosi scriveva Amintore Fanfani  dell’amico e collega, nella prefazione della  storica monografia di Giuseppe Miligi.

Furono davvero decisivi gli anni messinesi sia per la sua formazione che per la  dimensione affettiva.  In città era arrivato perché vi risiedeva lo zio materno Luigi Occhipinti,  che, per il giovanissimo Giorgio, fu guida  sicura e con cui abitò nella casa di piazza Maurolico. Frequenta la I G della scuola Antonello  e poi l’istituto Jaci, tra i sui  maestri  il prof. Federico Rampolla (nipote del  cardinale   Mariano Rampolla del Tindaro) e il prof. Giacomo Crisafulli  che lo indirizza agli studi giuridici . Frequenta la facoltà di legge, dove supera con il massimo dei voti i 16 esami, sotto la guida, oltre che di maestri come Ludovico Fulci e Francesco Messineo,  del prof.  Emilio  Betti relatore della sua tesi di Diritto romano che  seguirà, su suo consiglio, a Firenze per la laurea.

Vive appieno una Messina che è ancora ferita dalla provvisorietà delle baracche ma anche immersa in un clima di fermento culturale; la sua militanza letteraria e artistica la fa con diversi sodalizi, come  il gruppo del tecnico,  dello Jaci (Quasimodo, Raneri, Pugliatti Denti  e altri ) o del gruppo di Vann’Antò, Luciano Nicastro e Giovanni Calabrò, che diventano fucine attorno a riviste e incontri accompagnati dal fascino per movimenti artistici e di avanguardie (incontrò anche Marinetti a Messina).

Un circuito di idee e di affetti: “Siamo ragazzi? È vero: ma una speranza ardente ci spinge a combattere la bella battaglia dell’intelligenza” scriverà  a Pugliatti.  E se alcuni di questi  legami, come quello con Quasimodo, durarono per tutta la vita, “Giorgio è tutto luce”! diceva di lui il futuro rettore, altri furono  volti significativi per il suo cammino di fede come don Salvatore Gallo, don Ernesto Forchesato, il suo padre spirituale mons. Luigi  Bensaja, che contribuirono alla sua piena conversione, avvenuta nella Pasqua del ’24.  Speciale rapporto  in tal senso ebbe con il filosofo Guido Ghersi con cui condivise la scelta di diventare terziario domenicano, assumendo il nome di frà Raimondo e, successivamente, anche terziario francescano.

Da Firenze, tornò  a Messina più volte, per i 92 anni dello zio Luigi e per la sua morte,  per la vestizione come clarissa  di sua nipote Maria Maddalena Angelino, nella città scolpita nella memoria come disse all’amico Lorenzo Deodato: “Quando metto piede a Messina, è come se non me ne fossi mai staccato!”. Qui nel monastero di Montevergine , quel presidio antico di silenzio e preghiera, vive  ancora oggi un pezzo della famiglia di La Pira, suor Chiara Maria Fortunata, al secolo  Maria Maddalena  Angelino,  figlia della sorella. La giovane si trovava a Messina  dal ’48 per studiare al liceo musicale  “Antonio Laudamo”,  quando decise, contro la volontà dei genitori, di diventare suora di clausura.  Nello zio Giorgio trovò conforto come testimonia il loro carteggio pubblicato da Vita e Pensiero a cura di Giuseppe Rovasi. Le lettere  alla nipote (come sempre, autografe e accompagnate dalla copia dattiloscritta) si concludevano sempre con un “prega per me”. La Pira proprio  nella chiesa di Montevergine aveva vissuto un momento di  “folgorazione”,  nello stesso luogo in cui anni dopo Giovanni Paolo II avrebbe canonizzato la beata Eustochia Calafato fondatrice dell’Ordine, mentre era proprio Badessa suor Chiara Maria.

Ma della grandezza del personaggio tutta la sua famiglia ebbe sempre certezza, come ci racconta un altro nipote, il dott. Tani La Pira che, dopo una prestigiosa carriera all’estero nell’ambito delle Istituzioni Europee, è tornato all’origine, a Pozzallo: «Io ho vissuto lo zio in presa diretta da Milano, dove ho vissuto e  studiato,  con un  rapporto personale. Noi abbiamo sempre sperimentato la sua grandezza, altri certo devono proclamarlo Santo ma  per noi  lo era già, tutti in famiglia si rivolgevano al fratello santo. Il suo profilo morale oggi sarebbe un valore  enorme per lo stato di decomposizione della classe politica, un riconoscimento così  forte e  laicamente condivisibile, sarebbe per il Paese un segnale importante. Io sono tornato a Pozzallo, un luogo che è importante visitare per capire La Pira; da questa  posizione geografica, si ha uno sguardo sul Mediterraneo, su un orizzonte ampio,  a cui siamo abituati fin da piccoli.  Io quello che posso dire è che tutta la mia vita è stata segnata da miracoli prodigiosi,  che mi hanno portato a vivere oggi qua. Mio padre, mi diceva: ricordati che sei nato a Milano  per sbaglio, cerca di non morire qui».

Portatore  di autentico umanesimo cristiano, si impegnò  anche a livello  internazionale per il  disarmo e il dialogo tra Stati.  Fu amico di papi (Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI) e capi di Stato. Giurista, politico, deputato  alla Costituente e deputato al Parlamento, sindaco di Firenze. Gigante per le istituzioni  civili  lo fu pure per la Chiesa: dal 1986 è in corso la causa di beatificazione,  è stato dichiarato venerabile il 5 luglio 2018 da papa Francesco. Quell’uomo che tutti ricordano per il  simbiotico legame con Firenze, in quella città universitaria ci capitò per contingenza, lì si laurea,  diventa  professore supplente di Diritto Romano e infine ordinario. Il prof. La Pira fissa la sua dimora nello storico  convento domenicano di S. Marco, consacrato come era, divideva la vita fra studio e preghiera. Nel 1946 viene eletto deputato nell’Assemblea Costituente nelle liste della Dc, fu uno dei  più stimati tra gli estensori della Carta Costituzionale e componente dell’importante “Commissione dei 75”. Nel ’48 viene rieletto deputato e nominato sottosegretario al  ministero del Lavoro nel governo De Gasperi. Dal ’51 sindaco di Firenze , fino al 1957 e dal 1961 al 1966, fautore di nuovo rinascimento morale e culturale della città, invitando e coinvolgendo scrittori, intellettuali, leader mondiali e impegnandosi anche per una ricostruzione materiale della città.

Palazzo Vecchio era per lui un avamposto per la buona battaglia per la pace, da qui partivano lettere per tutto il mondo e se la mattina magari parlava la telefono con De Gaulle o Allende, la sera si ritirava nella sua celletta  dove non  c’era  neanche un telefono privato,  tanto che utilizzava quello comunitario del corridoio che squillava solo per lui. A Firenze, ad eccezione  di un altro  mandato da parlamentare, fece fino alla morte un’eroica opera di riflessione e azione contro  i conflitti  fra blocchi  Est e Ovest (Urss e Usa) nel mondo Mediterraneo (arabi e israeliani ).  Storiche le sue missioni  a Mosca,  ad Hanoi, negli Stati Uniti che affidava alle preghiere alle suore. Interloquì con figure come  Ben Gurion,  Sadat, Krusciev e fu anche eletto presidente della Federazione mondiale delle città unite. Morì il 5 novembre 1977; sepolto nel cimitero di Rifredi umilmente per sua volontà, come era vissuto, in quella città che era stata la base del suo sguardo sul mondo  e  delle visioni che a Messina aveva iniziato a costruire, nell’allegra brigata della giovinezza.

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