Nessun altro mezzo come la fotografia riesce a rendere con tanta efficacia e potenza rappresentativa la vita di una comunità, di una famiglia, di un gruppo di persone, colte in un momento significativo o quotidiano della loro esistenza. Sarà quel congelare l’attimo, il tempo beffato, il cogliere espressioni e sguardi che rimarranno così, immutabili ed eterni, a dare forza e significato a uno scatto. Certo è che le foto diventano il mezzo più significativo attraverso il quale, specie nel passato, si serbavano i ricordi pubblici e privati. Fatto questo che Franco Tumeo coglie al meglio nel suo “Ficarra, come eravamo” (Armenio Editore), ennesimo omaggio al bellissimo centro dei Nebrodi, di un giornalista e scrittore che nel riproporre un luogo visto in tutte le sue sfaccettature, non compie un atto campanilistico, ma lo propone come un modello antropologico, ma anche affettivo, a cui guardare per comprenderne a fondo evoluzioni e cambiamenti nel corso del tempo. E non è un caso che a curarne la prefazione sia proprio un antropologo del valore di Sergio Todesco, acuto e attento osservatore di costumi, tradizioni, culture, che sottolinea la serietà scientifica di Tumeo nel documentare “la vita e la cultura del centro nebroideo lungo l’arco di circa un secolo, attraverso scatti che colgono i mille modi in cui si declina e si dipana la vita di una comunità nella inesauribile gamma delle sue realtà”. E approfondendo Todesco coglie un dato esiziale di questo volume e cioè l’intenzione dell’autore “di lasciar memoria di tutti coloro che sono rimasti senza voce, che si sono tenuti lontani dalla grandi imprese perché erano troppo impegnati a vivere, un’attività – a ben considerare – tra le più difficile e complesse che si possa immaginare”. Il libro raccoglie cento fotografie che raccontano la comunità di Ficarra nei suoi momenti pubblici, come la politica e le feste, ma anche privati, le scampagnate tra amici, ricorrenze, battesimi. Momenti che la foto immortala con una solennità e una cura straordinari. Per Tumeo raccogliere queste foto, ricordare non è un mero esercizio catalogatorio, ma un modo perché si stabilisca un contatto forte e duraturo tra generazioni.