“Fuori era primavera, viaggio nell’Italia del lockdown”, documentario oggi sugli schermi della Festa di Roma (ieri la proiezione per la stampa), è un’antologia allo stesso tempo intima e collettiva di immagini selezionate da Gabriele Salvatores tra migliaia di video che gli hanno inviato gli Italiani relegati in casa durante il lockdown.
Intima, perché almeno le immagini iniziali scelte direttamente dal regista di “Mediterraneo” sono un po’ la spina dorsale di questo collage: ghiacciai che si sciolgono, allevamenti di ovini sovraffollati, scene di inquinamento e di miseria nell’Africa sub sahariana, il mercato di Wuhan pieno di animali da mangiare e, in chiusura, il passaggio di un enorme pipistrello. Da qui, come un inevitabile derivato: le meravigliose piazze vuote delle città d’Italia. Arrivano poi più volte, quasi ad intermezzo, inedite e crude immagini delle sale di rianimazione degli ospedali.
E poi tante testimonianze del personale medico che racconta la solitudine di questa malattia, la sua parte più malvagia. «La gente qui muore da sola – dice un’infermiera – . Non scorderò mai l’ultimo sguardo di chi sta per essere intubato e che forse non si risveglierà più . A volte li aiutiamo a fare una telefonata ai cari, ma è difficile, davvero difficile». C’è poi un anziano che sceglie di andare a Tavolara, lo si vede a pesca su una piccola barca che dice nel suo video: «Io resto qua finché non finisce tutto».
Tra gli intermezzi di “Fuori era primavera”, che sarà distribuito da 01 domani come evento unico – ma purtroppo nell’elenco non c’è alcuna sala calabrese e in Sicilia solo il “Tiffany” di Palermo – , quelli di un rider che gira con la sua bicicletta in una vuota città d’Italia per consegnare pizze e sushi che commenta ironicamente gli incassi del giorno : «Quattro euro e mezzo stasera». Il prezzo del suo rischio.
Ma accanto a tutta questa rovina e morte c’è la vita. E una parte di questa testimonianza forte dell’ “altra parte del lockdown” viene proprio da Messina. Dalla bellissima famiglia di Bruno e Monika Luciano, che hanno avuto un bambino, il piccolo Elia, proprio durante il lockdown, il 20 aprile. Bruno è tecnico informatico alla “Gazzetta del Sud”, e, accanto alle belle scene familiari che lo ritraggono con la moglie e la piccola Beatrice nella sua casa messinese, una scena che ha inviato a quest’opera collettiva è stata girata appunto nei locali della “Gazzetta”, allora silenziosi e svuotati, con quasi tutto il personale e la redazione a lavorare in smart working.
C’è poi chi fa ginnastica sul balcone di casa, chi canta sul suo terrazzo, bambini con tanto di spada che combattono idealmente il mostro Covid, una coppia di ballerini che libera il salotto per potersi allenare e una bellissima lettera in ricordo di un padre morto per la malattia. Tra le cose più belle, la testimonianza di un’infermiera che racconta come un anziano, ricoverato con la moglie, ha puntato i piedi quando ha saputo che stavano per trasferirlo proprio mentre la sua compagna stava morendo: «Che dovevo fare? – dice l’infermiera – . Non sono riuscito a mandarlo via, non ce l’ho fatta».
«Seguiamo l’ordine cronologico ed emotivo degli eventi – dice Salvatores –. Al di là degli aspetti tecnici, quel che vorrei emergesse è la sincerità di questi racconti, che siano veri, fatti col cuore».
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