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La scrittura del desiderio in mille declinazioni, la letteratura di Montefoschi a Taobuk

«Ci sono libri come quelli di Giorgio Montefoschi che ci aprono lo sguardo su qualcosa che non è propriamente la realtà, ma è la “realtà” della letteratura, perché la letteratura vive sempre di questo scarto tra i reali possibili, il reale che lo scrittore “si lascia alle spalle” e il reale che sarà della letteratura». È stato Alessandro Notarstefano, direttore responsabile della Gazzetta del Sud, a conversare con Montefoschi, uno dei premi Taobuk Awards for Literary Excellence 2020, iniziando – sulle orme del saggista Frank Kermode – dal momento in cui a vent’anni si avvicinò ai libri dello scrittore e traduttore romano, a cominciare da “Ginevra”, del 1974, seguito nel ’76 da “Il Museo Africano” e nel ’78 da “L’amore borghese”.

Tre libri (cui segue una lunga storia narrativa, con – tra gli altri – “La casa del padre”, Premio Strega 1994) sui quali è necessario ritornare – ha detto Notarstefano – per individuare le ragioni “ispiratrici” d’un tipo, molto connotato, di scrittura, quella di un autore che sente l’esigenza di stare dentro a un “progetto”: attraversare il tempo e rimanere ancorato al tessuto italiano. E il titolo “Desiderio” (La Nave di Teseo, 2020) dell’ultimo romanzo dello scrittore è proprio «il paradigma di un’intera vita: desiderare è... la vocazione che Montefoschi ha inseguito, perseguito e messo insieme in un percorso letterario assolutamente sorprendente tanto che tuffarsi nei suoi libri è come stare dentro un’unica storia. Che è poi la nostra storia».

«“Desiderio” nasce – ha spiegato Montefoschi – dal desiderio di raccontare una “storia di desiderio”. Volevo parlare di un amore carnale, di abbandono al desiderio attraverso l’incontro di due ragazzi, lei snob e ricca, lui di estrazione borghese, a cominciare da una data esatta, il primo maggio del 1963 quando, mentre a Roma si svolge il comizio di Togliatti, un gruppo di giovani si riunisce in un casale fuori Roma. Tra i due scatta un desiderio fisico profondo che io mi sono appassionato a seguire, con la scoperta emozionante del corpo, momento per momento. Ma il sesso io non lo descrivo in modo robotico né alla maniera del mio amico Moravia, a me interessa raccontare quel che viene prima e poi far immaginare al lettore il resto».

«La letteratura di Montefoschi – ha osservato Notarstefano – è una letteratura, più che mai, di spazio e di tempo (cosa in cui Montefoschi è maestro); il tempo è segnalato da piccole notazioni (un libro, un film dell’epoca, un particolare come il comizio di Togliatti) e «il desiderio, parola etimologicamente meravigliosa che con il suo de “privativo” e sidus, stella, è la mancanza di presagio, è la mancanza di un oggetto che probabilmente deve, per sua natura stessa, restare irraggiungibile, è la bellezza di racconto, del rimanere inespresso di qualcosa che pure ci tende come corde nella tensione verso ciò che bramiamo. E mai quel Tutto si compie. In questa nostra tensione c’è il desiderio di Montefoschi, scrittore che ci fa amare Roma che conosce benissimo e ci ripropone con ricorrenze e ritorni topologici di vie, piazze, quartieri, parchi che sono sempre gli stessi eppure cambiano...». Un racconto che vive di interiorità (frequenti le suggestioni letterarie), e il cui fascino sta proprio lì, nell’abbandonarsi al tempo del desiderio, a quello della nostalgia, come al sogno e alla bellezza.

«Le mie storie – ha detto Montefoschi – cercano infatti di adombrare il desiderio irraggiungibile di qualcosa che non sappiamo, un desiderio profondo che io ho schermato attraverso la metafora dell’amore fisico; è il desiderio di ricongiungimento all’unità con l’altro, qualcosa di più ricco, e misterioso, un desiderio di possesso intimo e profondo che va al di là del tempo e della fisicità».

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