Il lento ritorno alla normalità ha la voce e la simpatia di Lello Analfino, che con i suoi Tinturia ha riempito, per quello che era possibile e concesso dalle disposizioni anti-Covid, l’arena di Villa Dante per il primo concerto del “Messina Fest 2020”, organizzato dal Comune. Ed è stato come ritrovare dei vecchi amici, riprendere confidenza con un rito collettivo che la pandemia aveva interrotto bruscamente e marchiato a fuoco con la paura. Così, quando la band agrigentina ha attaccato con i vecchi cavalli di battaglia, da “Abusivi” a “Cirasaru”, il pubblico ha cominciato a cantare e battere le mani conoscendo a memoria i pezzi del gruppo sulla breccia da oltre 20 anni, da quando Analfino e soci vennero “scoperti”, si fa per dire, da Ficarra e Picone, che li scelsero per la colonna sonora del loro film, “Nati stanchi” del 2002, che li consacrò tra le band più talentuose e interessanti della Sicilia. E questo in forza di un sound originale e accattivante, da loro stessi definito “sbrong”, che è una sorta di frutto misto musicale, che mette insieme, mischiando a piacimento pop, rock, folk, ska, funk, rap e reggae. Il risultato è godibilissimo, tanto da fare dei “monelli” agrigentini (da qui il nome Tinturia) una delle band più gettonate nella piazze estive e negli stadi siciliani e italiani, anche per quell’alternare siciliano e italiano, per rendere il loro messaggio più intellegibile e universale. Così come con “Precario” e la serenata “Nicuzza” e ancora “92100” che suscitano l’entusiasmo dei presenti e accendono la verve oratoria di Analfino, che da uomo di spettacolo a tutto tondo, ha cominciato la sua personale perorazione di una serie di temi a lui molto cari: la violenza sulle donne, la guerra, la pace, l’amore, la questione migratoria, l’odio che tracima dai social e la Sicilia irredimibile ma generosa, accogliente e contraddittoria. Il pubblico gradisce entrambe i registri espressivi di Lello, che comunque oltre a una innata capacità istrionica, mantiene fermi alcuni valori, come la sicilianità, , che non è chiusura nel particulare, bensì capacità di aprirsi al mondo e di accogliere chi sta peggio di noi. Il concerto prende quota e dopo “Vita normale” e “De Generatione” è il momento delle riletture di alcuni dei brani della canzone italiana, quali “L’estate sta finendo”, fortunato hit dei Righeiria, di cui viene data una lettura più malinconica, crepuscolare, ma molto molto bella, così come con “Bombarolo” di De Andrè, che stravolge con rispetto per farne un manifesto contro le guerre che insanguinano il pianeta. Per poi riprendere un loro pallino, “Pisci spata”, di Domenico Modugno. E poi “Di mari e d’amuri”, un reggae tra i più belli del gruppo, seguito dalla dolcissima “Cocciu d’amuri”, una serenata d’altri tempi. Quindi Lello e i suoi musicisti (Angelo Spataro alle percussioni, Peppe Milia alla chitarra, Domenico Cacciatore al basso, Edoardo Musumeci alla chitarra e Gianpiero Risico ai fiati) hanno proposto “Extra”, “Abballu senza sballu”, il medley Jovanotto-Occhi a pampina-Ambulante” e “Vergini Maria”. A chiusura, tra applausi a scena aperta e richieste di bis, il cavallo di battaglia “Donna riccia” e “Così speciale”. Lello e i suoi musicisri salutano il loro pubblico dandogli appuntamento all’uscita del nuovo cd.