Un po' Francesco, un po' Gabbani e... Viceversa. Un legame con la Sicilia cominciato a Carrara, col suo insegnante di chitarra siciliano che gli parlava nel dialetto della propria terra. Il primo innamoramento quando col liceo classico ha visitato la Magna Grecia e poi, nel 2017, il privilegio di trascorrere qualche giorno ospite del maestro per cui ha un debole, Franco Battiato.
Ora in Sicilia Francesco Gabbani ci ritorna, giovedì, per il tour Inedito Acustico, «inedito letteralmente, dato che io un concerto così non l'ho mai fatto, ho sempre suonato full electric...». Stavolta, invece, nonostante “Viceversa” (uscito lo scorso 14 febbraio) sia un album che ha dentro tanta elettronica, un altro disco eterogeneo come i precedenti, per i live ha voluto atmosfere più intime.
Non avevi date estive e ora hai un tour. Non ci sarà l'Arena di Verona (l’unico appuntamento previsto per il 2020 è rimandato al 26 aprile 2021) ma Taormina, un altro teatro di pietra...
«Tornare al Teatro Antico, dove ho avuto già il piacere di suonare nel 2018, mi mette addosso un'energia particolare. Ci siamo organizzati in corsa, mi sono detto... facciamolo, anche se accontentandoci (di massimo 1000 spettatori), con lo spirito di chi vuole ripartire. Ridimensionandomi, per cogliere l'opportunità di portare in scena uno spettacolo diverso dal mio solito. A Sanremo ho mostrato un lato che ha spiazzato i tanti che conoscevano Gabbani per la scimmia, ma il mio pubblico lo sa che sono anche questo».
Quanto ingombra questa scimmia?
«Non la rinnego, è stata una scelta mia per spiegare alla lettera la citazione di Desmond Morris, controbatto solo quando viene presa a riferimento quella cosa e basta. A livello nazionalpopolare magari non è stata colta, quando ti capita un successo tanto trasversale, ci sta che una parte di pubblico si fermi alla facciata. Magari pian piano arriveranno o magari no, ma io son contento così. Riesco ad esprimermi liberamente e ad andare avanti sul mio percorso... che poi è lo scopo di questo gioco».
«È la paura dietro all'arroganza/È tutto l'universo chiuso in una stanza/È l'abbondanza dentro alla mancanza»: a febbraio significava una cosa, a metà marzo già qualcos'altro...
«Il mio senso era ed è sottolineare la condivisione alla base dell'amore a tutti i livelli e questa canzone è cascata a pennello, il lockdown ci ha ricordato quanto sia importante quel "viceversa". Quella fisica del vedersi, quella chimica nell'abbracciarsi, baciarsi, appiccicarsi. Quello scambio energetico che ci è stato proibito. Forse è anche per questo che la canzone è arrivata al cuore delle persone».
Sanremo è sempre il palco giusto per dire qualcosa?
«Non solo, lo è anche di più. Ha riconquistato attenzione dopo anni in cui è stato tra lo snobbato e il bistrattato. Dal punto di vista mediatico, se hai qualcosa da dire, da lì si sente più forte. Poi il risultato, la credibilità dipende da chi sei, come ti proponi e le cose da dire che hai. Che si tratti di un artista pop o di una star del web, Sanremo rimane luogo privilegiato, io ne sono la prova».
Fare l'autore per altri ti piace ancora?
«Mi piace se passa dalla spontaneità. Ho provato a farlo in maniera esclusiva per qualche anno, ma scrivere musica su commissione non fa per me. Oggi, se un pezzo lo immagino cantato da un altro glielo propongo, l'ultima volta l'ho fatto per Celentano, poi mi sono dedicato alle mie cose. In questo periodo, però, ha preso vita una collaborazione che spero di poter annunciare al più presto».
Non sei geloso dei tuoi pezzi? La canzone per Celentano non avresti voluto col senno di poi cantartela tu?
«In realtà sì. Quella in particolare peraltro è nel mio registro espressivo, infatti dal vivo l'ho cantata. Risposta difficile… diciamo che è sempre frutto di un'elaborazione decidere di far cantare ad altri qualcosa di tuo».
Anche un gesto di generosità...
«Oltre alla presa di coscienza che certi pezzi cantati da altri interpreti aggiungano valore. È tutto relativo, ogni volta diverso».
A Sanremo hai cantato “L'Italiano”. Dopo tutto, sei ancora ugualmente fiero di averlo fatto?
«Sì, ma è un sì che ha dentro un bilanciamento tra l'orgoglio assoluto per certi aspetti e il rifiuto fermo di altri. In generale sono patriottico».
La tua versione dei ricordi di questa quarantena?
«Il valore riattribuito a certi aspetti della vita, il trasferimento del mio studio dal salotto alla veranda e anche un paio di tavolinetti di legno che ho costruito per sporcarmi le mani».
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