“Lo Stretto che unisce”, si intitola così un saggio del professor Giuseppe Caridi.
Più che un saggio storico è uno specchio della memoria. I suoi riflessi ci fanno comprendere meglio il presente e, di conseguenza, ci danno dei suggerimenti per impostare un possibile futuro. È complicata la storia che si è scritta tra Messina e la sponda calabra, nel tempo. Complicata e suggestiva come le correnti montanti e scendenti che attraversano lo Stretto di Scilla e Cariddi, generando un ecosistema specialissimo e fecondo che si riverbera fin sulla terraferma. Scontri dolorosi e laceranti sulla superficie di questo mare «pieno di voci» – come lo definì Giovanni Pascoli – capaci di generare nuove società, a loro volta animatrici di un’identità unica e originale, quella “strettese” che stiamo inseguendo attraverso queste pagine, dando parola a personaggi, opere, spettacoli.
Giuseppe Caridi, reggino, professore ordinario di Storia moderna e presidente della Deputazione di storia patria per la Calabria, sullo Stretto ha le idee chiare: «Non è stato mai una barriera lo Stretto, anzi... Noi siamo la risultante di arrivi e immigrazioni di popoli diversi, dai greci ai romani, dai normanni agli svevi e agli angioini. Tutte queste popolazioni si sono installate sempre sulle due sponde che di conseguenza sono sempre state politicamente unite, tranne per brevi periodi».
E nel tempo sono stati tanti gli eventi lontani – i regni, i sovrani, le guerre, gli accadimenti – che hanno avuto conseguenze dirette sulle nostre terre. Prendiamo ad esempio il Regno di Sicilia. Spiega Caridi: «Comprendeva tutto il Meridione. Con l’arrivo degli angioini nel 1266 il centro si è spostato a Napoli e questo ha destato il malcontento sfociato nella rivolta dei vespri siciliani del 1282. In quell’occasione i siciliani chiesero l’aiuto di Pietro d’Aragona che andò in loro soccorso iniziando la guerra del vespro. Una delegazione di reggini si recò a Messina per chiedere a Pietro Terzo di venire a conquistare anche Reggio perché non volevano essere staccati da padri e fratelli messinesi».
Sarebbe bello – ecco una suggestione per il futuro – rievocare il passaggio nello Stretto di “Pietro il Grande” come la raccontò il cronista medioevale Bartolomeo di Neocastro. Con la pace di Caltabellotta si stabilì di dividere la Sicilia, che andava agli aragonesi, dal Mezzogiorno continentale che rimaneva agli angioini. «Quando nel periodo angioino – continua Caridi – sono separati politicamente, i reggini ottengono dal re la facoltà di spendere a Reggio la moneta aragonese in corso in Sicilia». Ulteriore testimonianza della fitta rete di relazioni economiche tra le due sponde.
E poi la seta, prodotta in Calabria ed esportata dal porto internazionale di Messina: «Quando Reggio ottiene la licenza di tessere la seta agli inizi del ‘600 molti maestri setaioli messinesi si stabiliscono a Reggio». Grazie a questa protoindustria la forte crisi economica del Mezzogiorno nel ‘600 lambisce solo marginalmente Reggio. Nel 1674 a Messina scoppia una rivolta contro la Spagna impegnata su altri fronti contro la Francia. «Reggio appoggia Messina con il continuo rifornimento clandestino di vettovaglie ma alla fine l’autorità della Spagna viene ristabilita e migliaia di messinesi sono costretti all’esilio. Messina perde i privilegi che aveva per le attività commerciali e questo genera immediatamente una fase critica anche a Reggio. Poi c’è la peste del 1743 che arriva prima a Messina e contagia l’altra sponda causando morti a migliaia. Quindi ancora una terribile carestia vent’anni dopo e infine il terremoto del 1783. Sempre unite nella buona e nella cattiva sorte, con le famiglie messinesi proprietarie di importanti feudi in Calabria fino a Palizzi, dove animano le produzioni cerealicole, o più su in Aspromonte, dove si approvvigionano di neve specie quando la corte risiede a Messina. Di converso come dimenticare che i Ruffo di Calabria avevano la cittadinanza messinese? Queste sono spigolature di storia vissuta, pietre miliari che indicano una direzione precisa: quella dell’integrazione consapevole e responsabile specie adesso che lo Stretto sta tornando sui tavoli della politica per la sua centralità nelle comunicazioni nazionali e mediterranee».
«Ci sono frammenti sparsi del puzzle sui contrafforti peloritani come su quelli aspromontani. Quanti ad esempio sanno dell’idea del professore José Gambino – spiega ancora il prof. Caridi – di realizzare un acquario dello Stretto nella zona falcata di Messina? E quanti sanno al contempo del piccolo museo di biologia marina e paleontologia realizzato a Reggio dal professore Angelo Vazzana? Due facce dello stesso mare, una delle quali, l’acquario, ancora presente come idea progettuale mentre l’altra troppo compressa per esprimersi come meriterebbe. E su entrambe rimane sospesa l’idea del museo del mare che dovrebbe rappresentare la perla più preziosa del costituendo “frontammare” in corso di realizzazione a Reggio».
Lo storico chiama in causa la politica: «È il momento – suggerisce quasi timidamente il professore – che deputati e senatori di entrambe le sponde mettano assieme una commissione tecnica per studiare con tempi certi e sforzi finalizzati la realizzazione dell’area integrata dello Stretto. Solo così si darebbe il giusto valore alle due città metropolitane di Reggio e Messina e queste potrebbero dare un grande contributo alla crescita del Paese e allo sviluppo dell’area euromediterranea».
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