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"Nostalgia" del mare durante il lockdown: le opere di Togo in mostra a Messina

È una nuova magnificenza della natura quella messa in scena dal pittore messinese Enzo Migneco, in arte Togo, nel suo lungo romanzo del mare.

Si intitola “Nostalgia”, una silloge di piccoli dipinti (18×21) ad acrilico su cartoncino, un’idea nata a Milano, dove il maestro vive, durante il periodo del “confinamento” sociale, nel quale Togo ha continuato il suo dialogo col paesaggio della sua infanzia, che lo interroga e lo accoglie, alchimie di cielo e di mare e di rocce che nel segno pittorico diventano corpo ed emozione.

Non era isolato l’artista, a Milano, perché ogni giorno «s’imbarcava e riprendeva il mare», per trovarvi miraggi di albe e tramonti con l’enigma della loro bellezza. E, nell’attesa di rivederlo davvero, il “suo” mare, ha sperimentato altre policrome cadenze, uno sfoggio di prismatiche pennellate più chiare rispetto ai rossi impetuosi, ai blu cobalto, all’arancio vibrante, propri della cifra di Togo. Un laboratorio che oggi raggiunge una quarantina di pezzi unici ma che, nelle intenzioni del maestro, abitato dalla gioia di dipingere, raggiungerà il numero di cento (saranno in catalogo, curato, come tutti quelli di Togo, da Sara Migneco, grafica e illustratrice).

Sei saranno in mostra, alla presenza del maestro, dall’1 al 31 agosto, al Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di Gesso-Messina, fondato e curato da Mario Sarica, con 9 disegni in bianco e nero che il maestro ha realizzato per illustrare “Orizzonti siciliani” (Pungitopo), il testo di Sarica sulle tradizioni popolari, di festa e di lavoro, del territorio.

«Vivo dunque dipingo – dice Togo – . Sono una persona ottimista e positiva. Era perciò necessario aprirsi alla speranza attraverso colori più dolci e più “golosi”, il turchese, il celeste, il ceruleo, il violetto. E il rosa, dal più tenue al più intenso, sino al fucsia, spalmato insieme all’arancio, il re della mia tavolozza. Ed era necessario ritornare, per riprendere il rapporto viscerale, fisico, non solo con i luoghi ma anche con i familiari e gli amici che da sempre “mi corrispondono”».

E infatti incontriamo Togo a Briga Marina, villaggio della zona sud di Messina, che mantiene la bellezza selvaggia delle sue lunghe spiagge nelle quali l’assembramento, oggi come ieri, è un’idea peregrina. Un buon ritiro, «primitivo», ci confida il maestro, che lo ama com’è, perché quello Ionio incredibilmente bello, di cui egli sembra possedere le chiavi, è lo stesso scenario nel quale, ai primi del Novecento, si muoveva sia il nonno Vincenzo, capostazione (lavoro che perse perché antifascista) a Ponteschiavo, una frazione di Messina confinante con Briga, assieme al padre di Quasimodo, e artista versatile (aveva anche fondato giornali satirici come “Il Telefono” e “Il Marchesino” sul quale scrivevano Quasimodo e Pugliatti), sia lo zio Giuseppe Migneco, che quei luoghi ha tradotto in bellezza, consegnando il reale all’incanto della forma (il ponte di Ponteschiavo faceva da sfondo al bellissimo “Cacciatori di lucertole”, che partecipò, nel ’42, al Premio Bergamo insieme a Guttuso con la sua “Crocifissione”).

Dunque, a galleggiare sotto il cielo meridiano è la natura che si consegna al giorno o alla notte, tante aurorali “nostalgie”, di acque profonde (le stesse in cui Togo, giovane sub, s’immergeva), di reme montanti e scendenti, di scogli e di rocce, da un lato Capo Scaletta, dall’altro Capo Peloro, di fronte la Calabria, fino a Capo d’Armi («capi e dorsali appartengono a Togo», ha scritto Raffaele De Grada), e la palma come vessillo, un’immagine introiettata e sognata che – dice il maestro – prende vita naturalmente dal pennello, e racconta, nonostante l’assenza umana sulla tela, le stratificazioni di quel mare dove Africa ed Europa si sono incontrate e s’incontrano. «A volte inizio proprio dalla palma (presente anche nelle opere di Schifano, nato in Libia), perché la cosa più difficile è la tela bianca, perciò la “sporco” con qualche segno o qualche pennellata casuale (un consiglio che ho dato spesso agli allievi), aspetto che il foglio o la tela mi suggeriscano, poi giro la tela e “scopro” lì un albero, qui una barca, lì ancora bave di vento, tempesta o calmaria. Ci respiro sopra, ci vivo in mezzo. E comincio una storia di colori».

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