Vietate le pubbliche assemblee, chiusi i templi, dovremo quest’anno, relegati in casa, meditare da soli sul Cristo morto in croce, celebreremo la Pasqua nell’intimità familiare, e non è poi tanto male. L’emergenza coronavirus l’impone. La forzata quarantena ci dà modo, peraltro, di frugare sovente in biblioteca; e qualcosa di nuovo affiora sempre. Proprio di una Pasqua particolare vissuta nei lidi peloritani nel primo Novecento, ecco, per esempio le palpitanti testimonianze del francese Jean Carrère. Nato in Provenza nel 1870, si trasferì giovanissimo a Parigi. Lì intraprese gli studi e divenne presto il capo della gioventù studentesca del Quartiere Latino. Grazie a lui, venti nuovi agitarono il mondo intellettuale europeo tra Ottocento e Novecento. Non si stancava di gridare che lo scrittore, il poeta, debbono essere uomini d’azione sempre, “non rimanere testimoni inoffensivi nel loro studio, dietro i propri libri”. Fu egli scrittore, conferenziere, giornalista, ovunque celebrato, specialmente in Italia. Fondamentale, il suo libro La Terre tremblante.Calabre et Messine 1907-1908-1909, Paris, Librairie Plon 1909, riproposto, tradotto in italiano da Rosa Maria Palermo Di Stefano, dall’Istituto Novecento di Messina. Esso riguarda anzitutto il terremoto calabro-siculo del 28 dicembre 1908, ma ci regala anche, sotto il titolo “La Rèsurrection” (aprile 1909), un arioso affresco della prima Pasqua a Messina dopo quell’alba funesta. Sono pagine di intensità rara, tenere e d’amore intrise…Un inno alla vita! Jean Carrère riapproda nel porto falcato, con la nave Adria, la domenica di Pasqua di buon mattino. Ed ecco a lui dinanzi la città distrutta, tal quale l’aveva lasciata cento giorni prima. Ma non s’odon più le laceranti implorazioni - “Portateci via!”-, non è più pane che gli scampati domandano.” Ragazze brune dai denti banchi” offrono rosse arance, vecchi marinai accolgono tutti nelle loro barche ben lavate…“In questo dorato mattino di Pasqua- sogna Carrère - vorrei essere solo in una barca, cullato dai lievi flutti, nella divorante malinconia di un paesaggio unico al mondo”. Carrère è personaggio noto a Messina. La Questura lo affida a Carmelo Fazzina, guardia civica piuttosto “informata”, perché lo guidi attraverso le strade sconvolte, e lo conduca senza troppi rischi fuori città, presso il tempio della Mercede nella stradina che costeggia il torrente Portalegni; donde, nel primo pomeriggio, s’avvierà la processione del Cristo Risorto e della Vergine Maria. Festa grande, per i messinesi “a festa di Spampanati”. La campana del tempio annuncia la processione che s’avvia; Carrère e la sua guida, che vanno su lungo il torrente, la scorgono in lontananza. Il corteo lentamente procede verso la città, lo apre un cappuccino a piedi nudi, una grana folla lo segue. In testa la varetta col Cristo, rosso il mantello che si gonfia al vento, d’oro l’aureola che scintilla al sole. Dietro, a quindici metri circa, la varetta con la Vergine, di bianco vestita con frange d’oro, l’alta corona argentata e nelle mani tese, un tremulo ramo d’ulivo. Via via “il torrente umano diviene fiume straripato”. Si scorgono le prime case dai tetti divelti, ed ecco “dalle campagne, dai giardini, i cacciatori scaricano le armi, e scoppia nelle colline il crepitio di un fuoco d’artificio…” Si fermano le varette e la folla si scopre, agita fazzoletti e cappelli, grida prolungate salgono e s’incrociano: “Viva Gesù!Viva Maria!”. Si prosegue, ma non per molto. Superate le prime casupole in rovina, le varette di nuovo ferme. I carabinieri parlamentano col frate cappuccino, cercano di impedire che il corteo s’inoltri tra i muri vacillanti. Ma la folla non intende ragioni, e si ribella: “Vogliamo passare nella nostra città! Vogliamo che Gesù benedica i nostri morti! Viva Maria! Avanti! Avanti!”. Si va avanti, ma adesso domina il caos, è tutto “un tumulto di canti, pianti, grida, spintoni,preghiere…Alcune vecchie, sbraitando, tendono i pugni verso la terra, insultandola perché non restituisce quelli che ha rubato” . Chi sa come, la processione sbocca al viale San Martino. E’ lì, su una vettura, l’arcivescovo D’Arrigo. Egli va incontro alle varette, che accanto a lui si fermano, si confonde nella folla e la benedice…”Io –annota Carrère- distinguo soltanto il Cristo rosso e la Vergine bianca, che sembrano sorti dalla stessa folla, fiori ideali di un popolo epico, che celebra oggi la sua resurrezione”.