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“Cosa nostra SpA” di Sebastiano Ardita, il business della mafia tra Messina e Catania

Dopo le stragi del 1992 Cosa nostra ha cambiato pelle. È scesa a patti con la politica lasciandosi alle spalle la stagione del sangue e delle morti eccellenti. E così ha riorganizzato le proprie fila secondo il «modello catanese» dove mafia e Stato vanno da sempre a braccetto. Niente più omicidi ma ricerca di nuove relazioni. Nasce così “Cosa nostra SpA”, una grande impresa che incrocia il suo enorme fatturato con gli interessi dei colletti bianchi che governano multinazionali, enti e istituzioni pubbliche. Un sodalizio che si fonda in modo sistemico su corruzione e collusione e contro il quale sono sempre meno efficaci gli strumenti di contrasto legislativi.

E “Cosa nostra SpA” è il nuovo libro del magistrato Sebastiano Ardita, componente togato del Csm, edito da Seif, da oggi nelle librerie. Che è anche il naturale seguito di “Catania bene”, un altro saggio scritto in precedenza. Ardita è stato procuratore aggiunto per sei anni a Messina e poi a Catania, e componente della Dda occupandosi di mafia, inchieste per reati contro la pubblica amministrazione e di infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti e forniture. Prima ancora ha diretto la direzione generale detenuti del Dap-ministero della Giustizia. Ma c’è anche tanta Messina nel suo ultimo saggio, città dove ha trascorso ben sei anni, lasciando una traccia indelebile. E per gentile concessione dell’autore pubblichiamo in anteprima alcuni stralci che riguardano proprio la città dello Stretto e le dinamiche mafiose degli ultimi anni.

Messina e la Trinacria...

Messina è appoggiata sulla punta estrema della Trinacria, eppure non vacilla affatto. Baciata in faccia dal sole e dal mare se ne sta magicamente distesa su una striscia di costa e guarda malinconicamente lo stretto. Non è la cugina più piccola di Catania, anzi diciamo proprio che le due città non sono neppure parenti. Si somigliano un po’ per via del sole e del mare. Tutto qui. Hanno invece una struttura sociale economica e psicologica profondamente diversa. … A Catania individualmente tutto può accadere: c’è una borghesia dominante e dalle alterne fortune, rispetto alla quale gli affari e la ricchezza svolgono il ruolo di ascensore sociale; … A Messina prevalgono il ceto professionale e quello dei dipendenti pubblici.

Le famiglie che contano si conoscono tutte tra di loro e non ci possono essere sorprese: il posto pubblico è l’obiettivo primario. Il degrado, la povertà e le differenze di ceto sono molto più marcate e percepibili. Per intenderci: la figlia di un esponente della Messina bene non uscirebbe mai con uno di Giostra. Mentre a Catania tutto è possibile. … Insomma luci e ombre, differenze e contraddizioni vengono fuori a intermittenza come da uno stroboscopio. D’altra parte i catanesi questa bella città affacciata sullo stretto non la conoscono proprio e spesso la snobbano, perché la ritengono la provincia babba. Ma questa in realtà è una bella favoletta che si raccontava anni fa e che ancora qualcuno torna a ripetere senza sapere di cosa sta parlando. Neppure dal punto di vista criminale si pensava che le due città, così diverse, potessero avere qualcosa in comune. Eppure non è così.

I vecchi parametri...

I vecchi parametri dell’intimidazione mafiosa e della condizione di assoggettamento e di omertà a Messina sono rivoluzionati. Per gli interessi di Cosa nostra ci si serve delle relazioni economiche, di quelle politiche e di quelle massoniche: i nuovi strumenti per creare forza di investimento e di aggregazione. È vietato sparare e pure armarsi e minacciare. Insomma la Cosa nostra in versione ordinaria indossa definitivamente il colletto bianco e rinuncia deliberatamente alla violenza, e in caso di necessità demanda ogni compito esecutivo alle squadre militari presenti sul territorio.

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