Delitti, colpe e peccati di una finta "città perfetta": il nuovo giallo del messinese Mario Falcone
I veleni di una Siena tutt'altro che isola felice, una città che mostra il suo volto nascosto al di là della olimpica serenità di Piazza del Campo, della popolare routine delle sue contrade e dei suoi miti-icone, il Palio, il Panforte, il Monte dei Paschi. Ed è proprio attorno agli intrighi del sottobosco bancario - e nella finzione narrativa ogni riferimento è, ovviamente, puramente e assolutamente casuale - che si addensano le ombre più cupe, è nella Siena-bene, tra lusso e benessere, che il peggio allunga la sua ombra con una mostruosa pervicacia. Una Siena “nera” proprio come recita “Nero di Siena” (Ianieri), il bel titolo del thriller di Mario Falcone, messinese, e tra gli sceneggiatori più noti in Italia, avendo firmato alcune delle fiction televisive di maggior successo. Era nera anche l'alba d'un altro romanzo di Falcone, “L'alba nera” (Fazi, 2008) che raccontava il marcio sotterraneo di una città, Messina, nei mesi precedenti all'alba catastrofica del 28 dicembre 1908. Ma cento anni dopo, quel terreno melmoso in cui sprofonda l'umano è lo stesso, in qualunque dimensione geografica. E, nella Siena di Falcone, il fango spalmato sulle coscienze è quello in cui s'incontrano, da sempre, mafia, politica, imprenditoria, potere. Lorenzo Brandi, vicequestore della Polizia di Stato, figlio di un magistrato e di un'insegnante, ne era uscito sconfitto, da questa palude, impotente a combattere i poteri forti, andando via da Catania, per adagiarsi, una volta trasferito in Toscana, nella paciosa quotidianità, quasi annoiata, di una città solare come Siena. Brandi, “eroe” romanzesco di Falcone, è un poliziotto scomodo e spigoloso, affascinante ma inseguito dai fantasmi, con un sogno ricorrente, che da tanto tempo agita le sue notti. E che la vita tranquilla di Siena, con il suo incanto antico, non dissipa, quasi come se il male fosse in agguato, nascosto tra gli interstizi dei suoi antichi palazzi, delle loro bifore, dei loro pregevoli archi. E, infatti, un doppio eccellente delitto mette in moto la macchina del male dai cui meccanismi lo stesso Brandi rischia di essere stritolato. Una mattina come tante, una coppia di domestici peruviani scopre in uno storico palazzo del centro che i loro datori di lavoro, molto noti in città, il banchiere-filantropo Gualtiero Volpi e la moglie, la nobildonna Luna Orsato, sono stati barbaramente uccisi. Alle indagini, messe in moto da Brandi con la sua simpatica squadra di collaboratori, si oppone subito un muro omertoso, per sfondare il quale Brandi, separato da una moglie giornalista che vive a Roma e padre di un bambino di dieci anni, s'inoltra oltre le apparenze dei bei vestiti e degli oggetti griffati. Per affondare in un abisso del male, quanto più esso appare camuffato dal perbenismo: sesso e potere, potere e mafia, droga e festini, traffici illeciti e interessi criminali, che oltrepassano le comuni regole della morale. E per chi crede nella legge come Brandi, addentrarvisi, benché il vicequestore proprio dal potere sia esortato a chiudere l'indagine, significa anche fare i conti con il proprio passato.