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Jostein Gaarder a Taobuk: oggi la questione filosofica più attuale è come salvare la Terra

Jostein Gaarder

Diventato celebre in tutto il mondo con il romanzo “Il mondo di Sofia” (1991, in Italia premio Bancarella nel 1995), che coniugava narrativa e storia della filosofia, lo scrittore norvegese Jostein Gaarder, 67 anni, ha continuato una carriera di successo con romanzi quali “La ragazza delle arance”, “Il mondo di Anna” e tanti altri, toccando sempre importanti temi esistenziali.

Adesso è stato uno degli ospiti più attesi di Taobuk, dove ha parlato del suo nuovo romanzo “Semplicemente perfetto” (Longanesi). Abbiamo conversato con lui.

Nel romanzo “C’è nessuno” (1996) lei ha scritto: «Noi siamo l’enigma che nessuno risolve». Adesso Albert, il protagonista di “Semplicemente perfetto”, si trova a scontrarsi con questo tema, di fronte alla notizia di avere una grave malattia. Lei che risposte si dà? E sono davvero possibili delle risposte?

«Ci sono tantissimi enigmi, che la scienza ha aiutato e aiuta a risolvere, ma la domanda chiave rimane: cos’è l’universo? Oggi la nostra comprensione grazie a Einstein, agli scienziati, è profonda, ma penso che l’enigma dell’universo non lo risolveremo mai completamente. E vogliamo parlare del cervello dell’uomo? È stato costruito in maniera “semplicemente perfetta”, ma riusciremo mai a intendere fino in fondo cos’è, come funziona? Riusciremo mai a capire chi siamo veramente? Forse è impossibile».

L’incontro a Taormina aveva il titolo: “La perfezione immortale. Il desiderio di restare”. Lei come descriverebbe questo “desiderio di restare”?

«Con la storia del mio romanzo, quella di un uomo che si trova in una situazione disperata dopo aver ricevuto la brutta notizia di una malattia dal suo medico e comincia a porsi tutta una serie di domande sull’essere umano, sulla sua essenza. E non pensa solo per se stesso, ma per tutti gli esseri umani, in un certo senso lo fa a nome dello stesso universo. È un uomo come tanti, che sta vivendo ciò che vivono in un modo o nell’altro tutti gli esseri umani, me compreso: prende coscienza del suo essere mortale. Un giorno ci rendiamo conto del fatto che ce ne dobbiamo andare, lasciare prima o poi l’esistenza, affrontare questa verità. E a volte lo dobbiamo fare in maniera drammatica, ritrovandoci lacerati dalla sentenza di morte».

Lei ha una formazione filosofica che ha riversato nei suoi romanzi, a cominciare dal più celebre, “Il mondo di Sofia”. Secondo lei, qual è oggi il ruolo della filosofia e perché? Può essere un ruolo salvifico?

«Filosofia vuol dire porsi tante domande fondamentali su cosa è la vita, cos’è l’universo e, come ho detto, molte di queste domande sono eterne; ma oggi l’interrogativo filosofico più importante è diventato cosa possiamo e dobbiamo fare per preservare la condizione di vita sulla Terra. Viviamo infatti in un pianeta in pericolo. Chiedersi come possiamo essere in grado di salvaguardare la Terra è oggi la questione filosofica più attuale. Siamo esseri umani, quindi come Albert ci chiediamo cosa significhi la nostra esistenza, ma credo fermamente che dobbiamo soprattutto domandarci, come cittadini comuni, cosa fare per salvare il pianeta. Gli uomini sono abbastanza intelligenti e quindi si deve e si può trovare il modo per rispondere alle sfide ambientali. Nei miei viaggi ho visto che l’atteggiamento sta cambiando, che gli esseri umani sono più saggi anche nei confronti del riscaldamento globale. I leader del mondo cominciano a essere più responsabili nel raccogliere tali sfide, più di quanto non facessero dieci anni fa».

Non si sente una sorta di scrittore-missionario?

«Credo di avere sempre voluto condividere le esperienze profonde da quando ero un bambino. Già a 10 anni mi rivolgevo agli adulti, genitori, insegnanti, e chiedevo cosa pensassero, se capivano la bellezza della vita e quanto la nostra esistenza fosse un miracolo. E loro mi rispondevano che no, era una cosa normale; e allora pensavo che mai avrei voluto diventare grande, mai essere come loro, che non avrei mai dato per scontati l’universo, la vita, l’esistenza. Poi sono cresciuto e ho deciso di scrivere per persuadere anche quelli della mia età, di oggi e di allora, che il mondo è un miracolo e che la vita è fantastica».

Molti suoi libri sono dedicati ai ragazzi. Secondo lei, la narrativa per i giovani deve essere più didascalica o più fantasiosa?

«Entrambe le cose: per i ragazzi sono necessari diversi registri e generi, come per gli adulti. Io ho scritto libri didattici o didascalici, ma anche favole, libri di fantasia. Come autore ho coperto più aspetti della letteratura. Penso che una buona storia, un buon libro per ragazzi, lo sia anche per gli adulti. Ma, attenzione, non il contrario: non c’è un adulto in ogni bambino, quindi un libro per adulti non è necessariamente un buon libro per ragazzi. Credo nella narrativa, il cervello umano è fatto più per il racconto che per il digitale».

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