Messina

Venerdì 22 Novembre 2024

Il Premio Strega e la conquista della finale, la messinese Nadia Terranova: "Il mio libro è lo Stretto"

Nadia Terranova e il suo romanzo

«Io sono contentissima perché questo libro per me è Messina ed è lo Stretto: ha smesso di essere mio, è della città. Io l'ho scritto, adesso è della città, è di tutti ed è in particolare degli “Strettesi”» sorride Nadia Terranova, la scrittrice messinese che con “Addio fantasmi” (Einaudi) è entrata nella cinquina del Premio Strega. E che Premio Strega: quello delle sorprese, come due libri Einaudi diretti concorrenti tra i cinque finalisti (l'altro è il superpompato “Fedeltà” di Marco Missiroli, entrato nella corsa del premio con la fastidiosa etichetta di “superfavorito” - che di solito non favorisce nessuno - da molti mesi); quello delle donne finaliste (mai erano state tre su cinque: le altre due sono Benedetta Cibrario, con “Il rumore del mondo”, Mondadori, arrivata seconda, e Claudia Durastanti con “La straniera”, de La nave di Teseo, arrivata quarta. In testa c'è Antonio Scurati con “M. Il figlio del secolo”, Bompiani); quello in cui una outsider come Nadia è arrivata a scompaginare strategie e calamitare l'attenzione con un romanzo psicologico, tutto giocato sui panorami interiori - una vasta, dettagliata, perfetta analisi d'una ferita antica attorno a cui la protagonista, la giovane Ida, messinese che vive a Roma, come l'autrice, ha costruito, e arredato, tutta la sua vita - ma declinato anche tra i panorami sorprendenti d'una Messina mai raccontata con tanta acutezza e affetto. Maxischermo o no - la proposta che circola in città da giorni è di fare per la finale dello Strega, la sera del 4 luglio, come si è fatto per il tenore Alberto Urso alla finale di “Amici”: un maxischermo in una piazza cittadina - Nadia ci svela che Messina, la “sua” città (vive a Roma da anni, ma torna appena può in riva allo Stretto, che è il suo luogo del cuore e anche scenario dei suoi libri, che dal cuore nascono: l'ultimo, “Omero è stato qui”, Bompiani, è una raccolta di miti e leggende dello Stretto) sarà presente, in quella serata: «Credo che possa essere bello se avviene - dice Nadia - perché ci sarà una sorpresa, un video sui luoghi di ciascun libro, e quindi Messina sarà protagonista: i messinesi vedranno i loro luoghi». Che poi, a chi appartengono i luoghi, quando vengono narrati? Certamente ai lettori, e agli abitanti dei luoghi di cui i romanzi, le ricostruzioni letterarie costituiscono una incredibile ricchezza immateriale. E la povera Messina, orfana e spiantata come tante città del Sud abbandonate dalla politica e dribblate dall'economia, in questo è ricca signora, grazie ai suoi talenti. E quello di Nadia Terranova è limpido, fin dal primo romanzo, anche quello ambientato a Messina, “Gli anni al contrario” (Einaudi, 2015), che ha avuto traduzioni all'estero (“Addio fantasmi” sarà pubblicato in tredici Paesi) e riconoscimenti, tra cui i premi Brancati, Fiesole e Bagutta. Sei giovane e al secondo romanzo (oltre alla narrativa per bambini, anche quella pluripremiata). Ma a cosa ci servono, i premi letterari? «Servono comunque a dare la conferma a uno scrittore di star facendo bene, di essere sulla strada giusta. Servono, e sono serviti per me anche economicamente, perché mi hanno consentito di lasciare definitivamente lavori che facevo prima e non mi piacevano, e di crearmi una base solida da cui partire per la scrittura. Nel caso dello Strega io, ammetto, sono un'appassionata: è un premio letterario che mi piace osservare e dal quale sono passate tante opere fondamentali della nostra letteratura, sia per inclusione che per esclusione, una storia in cui grandissimi romanzi hanno vinto e grandissimi romanzi hanno perso, o sono stati esclusi, grandi scrittori sono stati consacrati e altri no, mai. Allora è interessante vedere questo canone come lavora: il canone non è soltanto quello della vittoria. Non è l'unico». E tu come hai vissuto questo periodo? Qual è il bello di una favola, ma anche di un vortice, come essere finalisti allo Strega? «La più importante lezione da tenere a mente quando si decide di partecipare a un premio letterario è ricordarsi che è in gara il tuo libro e non tu. Questo smorza l'identificazione totale con ciò che sta accadendo, anche se è un equilibrio molto difficile da tenere perché è pur vero che il mio libro sono totalmente io, e questo libro più di altri. È sempre così per uno scrittore, ed è giusto: se non fosse così non gioiremmo, non spereremmo. Allora credo che sia giusto vivere fino in fondo tutte le emozioni, anche quelle negative, che ci sono sicuramente: il senso di sconfitta, il desiderio di vedere riconosciuto un valore, ma sempre tenendo presente che tutto questo poi finisce, è solo un momento nel percorso di uno scrittore. Un premio letterario è una delle cose che possono accadere a un libro. Una delle più importanti, in questo caso sicuramente la più importante, dal punto della visibilità. Il bello è andare in giro, in posti belli, per parlare di libri. Un'opportunità sicuramente bellissima. Ma molto coinvolgente e con un programma decisamente serrato, per cui è difficile tenersi zone di normalità. Alle quali io non ho rinunciato: non ho smesso di scrivere i miei articoli, i miei racconti. Ho meno tempo per farlo, devo stare più in equilibrio, farlo in treno, in albergo, però lo faccio. Per il resto, mi godo la festa». Ci racconti qualcosa di questo tempo “stregato”? «Due episodi: ho vissuto questi mesi in maniera abbastanza spensierata, prendendo il buono di tutto quello che accadeva, però a un certo punto, due giorni prima della serata della cinquina, ho avuto un crollo, un momento in cui mi sono sentita spersa, un momento di grande tristezza, di grandi ripensamenti. E poi invece ho capito che era preparatorio alla grande sensazione di festa. Avevo l'impressione di aver fatto tanto per il mio libro, tantissimo, e che adesso bisognava vedere dove lui mi avrebbe portata, da qualche parte, in questa impresa donchisciottesca - ci tengo a sottolinearlo - che era per me lo Strega quest'anno. La seconda cosa che voglio raccontarti è molto siciliana: appena ho visto che ero in cinquina, o almeno così sembrava, ho detto alla persona che casualmente mi era vicina: «Ma allora non ho fatto brutta figura!». Lei ha riso, e mi ha risposto: «Non potevi dire cosa più siciliana... la malafigura!». Il mio pensiero è stato: sì, io sono sicura del mio libro, e so che questo è un gioco di società, ma che figura farò davanti agli altri?». La “malafigura”, figura emotiva tutta meridionale. Perché Nadia Terranova è una donna del Sud, e la sua scrittura fieramente europea, colta e raffinata ma anche chiara e apparentemente limpida, è profondamente, emotivamente meridionale, siciliana dello Stretto. Dove la profonda bellezza ha sempre dentro l'agguato del buio, dei mostri Scilla e Cariddi, e l'infinito è un paradosso, chiuso tra due sponde.

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