Gherardo Colombo, che ai più è noto come magistrato di Mani pulite ma è stato ed è molto altro, oggi sarà a Messina per parlare tra l’altro del libro “Il legno storto della giustizia”, un bellissimo dialogo scritto a quattro mani con Gustavo Zagrebelsky.
Alle 10,30 nell’aula magna del Rettorato, l’ex magistrato dialogherà con il giornalista Antonello Piraneo, direttore del quotidiano La Sicilia. L’evento apre l’edizione 2019 della Rassegna “Leggere il presente”, organizzata dall’Università di Messina in collaborazione con Taobuk. Una rassegna con diversi appuntamenti che «analizzerà la complessità del presente - osserva Antonella Ferrara, presidente di Taobuk -, attraverso lo sguardo di varie parti sociali: giustizia, letteratura, giornalismo, economia, antichità classica, attualità, e ciascun libro rappresenterà uno spunto per la discussione di diversi filoni tematici».
Dottor Colombo, perché quello della Giustizia è un legno storto?
«Dobbiamo andare a Kant, il “legno storto” è l’essere umano, così pieno di difetti, limiti, contraddizioni. E siccome la giustizia nel senso di amministrazione, ma anche nel senso di individuazione dei riferimenti nei quali attenersi, di valori, la fa l’uomo, allora se la giustizia è fatta da un “legno storto”... beh, allora è facile, se ha questa origine, è facile che sia un po’ un “legno storto”».
Il dialogo con Zagrebelsky è tra uomini di diritto che hanno fatto qualcosa per questo Paese, le chiedo: è il dialogo tra due uomini disillusi o che hanno ancora qualche speranza di cambiamento?
«Beh, vede, se io non avessi qualche speranza non andrei in giro a parlare di questi temi, non scriverei libri, perché se non servisse, cosa lo farei a fare. Io sono fiducioso, ci vuole tempo, e ci vuole tantissimo impegno, perché la tendenza generale a mio parere è molto conservativa di valori che sono stati superati dalla Costituzione».
Nel libro affrontate tutta una serie di temi che hanno a che fare con la filosofia del diritto, la letteratura del diritto. Per esempio le citazioni di Dostoevskij sono molto pertinenti, interessanti, invogliano ad alcune riflessioni sull’animo umano. Le chiedo: quanto è insita nell’animo umano la corruzione, e cosa si può fare per cercare di sovvertire questa sorta di corruzione “in nuce” che c’è nell’animo umano?
«Il mio punto di vista è che agli esseri umani non piace essere umani, vogliono essere onnipotenti e però non lo sono, e allora che cosa fanno, cercano di trovare dei sistemi per credere di essere quantomeno più potenti degli altri. La corruzione, spesso ma non sempre, è un sistema che serve per illudersi di essere un qualche cosa che va oltre l’essere umani. Chi ha denaro, ricchezza e potere pensa di distinguersi dagli altri. Però non sempre la corruzione ha questo aspetto, può essere anche “difensiva”».
Cosa intende?
«Per esempio quando parliamo di Dostoevkji, il romanzo nel quale si inserisce il Grande inquisitore, “I fratelli Karamazov”, finisce con una osservazione, o meglio con un sottinteso secondo cui la situazione di Dimitri, che viene condannato ingiustamente e portato nel luogo dove avrebbe dovuto scontare i lavori forzati, può cambiare corrompendo qualcuno dei funzionari, dei poliziotti che lo accompagnano. E allora in questo caso la corruzione sarebbe un rimedio all’ingiustizia della sentenza e della condanna... le posso fare un altro esempio?».
Certo...
«Non so se lei ha visto “Bastardi senza gloria”».
Sì...
«E si ricorda come è cominciato... arrivano i tedeschi, sotto questa casa ci sono nascosti gli ebrei, e i tedeschi cominciano a chiedere, a verificare, fatto sta che li ammazzano tutti, tranne chi riesce a scappare. Ecco, se il proprietario della casa avesse avuto un grande ammontare di denaro e avesse detto a chi comandava quei soldati “Io vi pago se andate via”, e quelli avessero accettato, la corruzione sarebbe stata bene o male secondo lei?».
Io direi bene...
«Eh appunto, vede che è un po’ difficile riuscire a codificare...».
Se c’è un tipo di corruzione che mira all’immortalità, a questo valore negativo i valori positivi sono sempre gli stessi da contrapporre, per ottenere ugualmente l’immortalità?
«Beh, l’immortalità bisogna vedere se c’è... insomma».
Diciamo quantomeno per l’illusione dell’uomo...
«Secondo me se l’uomo non s’illudesse sarebbe meglio..., dopodiché aspetti un attimo, chi crede che possa esserci un’altra vita fa bene a seguire la strada che ritiene... ma secondo me non è necessario pensare di essere immortali per poter riconoscere la dignità dell’altro, per rispettarlo, l’altro».
Il vostro libro è anche e soprattutto un durissimo atto d’accusa verso la società italiana, per la sua orchestrazione complessiva, per la sua composizione. Il discorso che avete sviluppato su questo aspetto dove vi porta?
«Beh, ci porta a considerare... vede io ho fatto per 33 anni il magistrato, la mia convinzione è che le regole che gli italiani osservano, generalmente parlando perché esistono tante eccezioni, sono regole che discendono dal principio secondo cui la discriminazione è giusta. E allora la conseguenza è che gli italiani, sempre generalmente parlando, hanno questa grande esigenza di mettere qualcuno sotto i piedi, ma hanno anche paradossalmente l’esigenza di avere qualcuno che gli faccia da mamma... direi che la tendenza è più verso una sudditanza che una cittadinanza. È una tendenza a essere irresponsabili... secondo me si attaglia benissimo quel che diceva Kant, nel suo “Che cos’è l’Illuminismo”: “... pigrizia e viltà sono le ragioni per cui tanta parte dell’umanità rimarrebbe volentieri minorenne a vita”».
Possiamo trasfondere questa sua considerazione e dire che c’è una propensione verso “l’uomo solo al comando” che elimini le responsabilità collettive?
«Beh, direi soprattutto quelle individuali, che poi le responsabilità collettive sono la somma di quelle individuali».
Voi siete in questo libro dei sognatori o degli scettici?
«Noi siamo molto realistici secondo me, non né l’una né l’altra cosa».
Lei accennava prima al suo passato. Perché si è dimesso dalla magistratura?
«Secondo me quando fenomeni di devianza sono così estesi, radicati, capillari, articolati come la corruzione, ma non soltanto quella, anche l’evasione fiscale per esempio, e lo strumento giudiziario non riesce ad incidere, allora il campo in cui operare è diverso, è il campo dell’istruzione... e lì che c’è da lavorare».
Lei si è dimesso nel 2007, ecco, rispetto a quel momento storico crede che oggi la via giudiziaria sia diversa, migliore o peggiore rispetto a quella stagione?
«Secondo me non è cambiato mica tanto... vede io sono ormai da 11 anni fuori dalla magistratura, ho il timore che si stia andando un pochino verso la burocratizzazione della funzione, però non saprei dirle di più. Posso dirle a proposito dell’allora, che si è pensato un po’ da parte di tutti che l’intervento repressivo o quello che veniva dopo, potesse essere un intervento veramente educativo. E invece non è così, l’educazione è un’altra cosa, perché l’educazione alla democrazia, in un Paese come il nostro, se guardiamo alla Costituzione, è verso la condivisione e non verso l’obbedienza. Chi obbedisce non è capace di fare scelte autonome, personali, e allora come fare a gestire la democrazia».
La stagione di Mani pulite ha cambiato il nostro Paese o secondo lei è stata solo... una sverniciatura?
«No, non ha cambiato niente, Mani pulite è la dimostrazione scientifica di quello che le dicevo prima, che perché qualcosa cambi è necessario pensare all’educazione, non all’amministrazione della giustizia».
Voi parlate nel libro anche di esempi virtuosi, sia di persone che di metodi. Oggi quali sono gli esempi virtuosi?
«Vede, il metodo è quello del riconoscimento dell’altro, sta nell’applicazione della Costituzione a partire dell’articolo 3, quindi è un metodo chiaro. Gli esempi sono delle persone che comportamentalmente rispettano la Costituzione. Il rispetto dell’uguaglianza è fatto di cose grandi ma anche di cose piccole, della quotidianità di tutti i giorni, gli studenti, i ragazzi, sapranno sempre individuare questi comportamenti virtuosi nel mondo che li circonda».
Cosa pensa di Mimmo Lucano, a Riace, è un esempio virtuoso?
«Per come lo conosco io credo di sì, mentre non credo che sia un esempio virtuoso quello di disconoscere la dignità delle persone, da qualunque luogo arrivino».
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