«Ascoltiamo i giovani. E parliamo con loro. Li capiremmo più di quanto non li capiamo quando leggiamo o ascoltiamo le considerazioni di psicologi, sociologi, insegnanti, educatori che parlano di loro». Così scrive Umberto Galimberti, filosofo, antropologo, sociologo, psicologo e giornalista, nell’esergo del suo libro “La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo” (Feltrinelli).
Un disagio culturale più che esistenziale, come già aveva scritto in “L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani” del 2007. E anche in questo suo ultimo libro Galimberti dialoga con i giovani, quelli del “nichilismo attivo”, che mostrano di non voler rimanere vittime degli stereotipi che li ritraggono “sdraiati” e inoperosi, ma che al contrario sono determinati a resistere e a costruirsi un futuro.
Del resto, la loro speranza è la potenza biologica della gioventù, e il loro sguardo critico sulle questioni più stringenti della nostra epoca fa capire cosa significa “nichilismo attivo”. Forse sarà il 10% dei giovani a mostrare l’intenzione di non arrendersi al “sano realismo”, un modo subdolo per renderci tutti omologati e conformisti, a mostrare lucido coraggio pur tenendo fermo lo scudo del disinganno, ma questi giovani, molti dei quali di buona cultura e cittadini del mondo, sono in mezzo a noi, e leggono, scrivono, analizzano, parlano di lavoro, di tecnologia, di scuola, e di ricerca faticosa di sé, tra identità, amore e felicità.
Con loro dialoga Galimberti attraverso settanta lettere cui il filosofo risponde, riconoscendo da un lato la maturità dei giovani, e dall’altro l’inadeguatezza del nostro sentire di adulti. Abbiamo tolto ai giovani il futuro, e la colpa è soprattutto di quelli che nella riflessione di Galimberti sono da sempre i due grandi accusati: il mondo genitoriale e il mondo scolastico che – dice – hanno abdicato alla loro funzione.
Professore, poco più di dieci anni dopo “L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani.” Lei torna a parlare di nichilismo. Ma ne “La parola ai giovani” si tratta di “nichilismo attivo” e non “passivo”. Cosa significa?
«Il nichilismo “attivo” riguarda solo il 10 per cento dei giovani, quindi non cambia niente. Solo che questa parte di giovani, per intenderci giovani come quelli delle lettere del libro, hanno la caratteristica di conoscere l’atmosfera pesante del nichilismo senza scopo e senza perché, ma non si rassegna e tenta di non spegnere i propri sogni, dandosi da fare in tutte le direzioni».
E infatti i giovani che firmano le lettere scrivono molto bene manifestando una lettura lucida della realtà e nello stesso tempo capacità di non rinunciare ai sogni. Giovani colti, seri e con tanti interessi. In base a quale criterio li ha ‘scelti’?
«Infatti sono proprio il dieci per cento, come dicevo. Io ricevo molte lettere, anche di adulti. Queste 70 lettere sono il frutto di cinque anni di raccolta. Chi scrive, e scrive bene, è evidente che legga, ma proprio dalle testimonianze raccolte si capisce che legge solo il 15/20% dei ragazzi. Coloro che scrivono sono giovani studiosi, ingegneri, architetti, scrittori, registi, liceali, persone con due lauree che magari fanno i gelatai, e tutti esprimono il disagio culturale e la solitudine di vedere infranti i propri sogni, di essere una “generazione dei senza”. Abbiamo tolto il futuro ai giovani e non resta che ascoltarli».
Eppure, dal Suo libro pare esserci spazio per la speranza. Cosa possiamo fare, dire?
«Ascoltarli, farli parlare. Noi siamo la prima generazione che non può trasmettere ai giovani perché loro vivono in quel mondo lì, il mondo del web, con quel linguaggio lì, e noi viviamo in un altro mondo, benché di quel mondo pare non possiamo fare a meno. Ma la cosa più sbagliata, tuttavia, è negare il nichilismo. I giovani lo sanno, e galleggiano in quest’ “acqua”: e la speranza che hanno è la potenza biologica del loro essere giovani».
Professore, 20 anni dopo “L’uomo nell’età della tecnica”, in cui Lei anticipa alcune realtà di oggi, cosa pensa della tecnica?
«Penso che l’uomo è uscito dalla storia e la tecnica è diventata soggetto della storia. E gli uomini sono diventati funzionari di apparati tecnici, non magistri. Ora anche la robotica toglie l’intelligenza. La tecnica elimina la parte irrazionale dell’uomo, il sogno, l’amore, il dolore, l’immaginazione. La tecnica è rigorosissima e non prevede turbamenti. Nell’età della tecnica l’uomo deve farsi simile alla macchina, trasformarsi in macchina. Lo hanno scritto Spengler, Jasper e lo scrive Günther Anders: “l’uomo è antiquato”, dice, in un mondo in cui la macchina è diventata soggetto della storia, l’uomo risulta superato».
In un passaggio Lei afferma che l’Occidente finirà inghiottito dall’occidentalizzazione del mondo: quando tutto il mondo sarà occidentalizzato l’Occidente sarà irriconoscibile. Cosa significa?
«Premesso che rispondevo ad una lettera sul mondo diviso tra i nostri giovani e giovani terroristi, e che paradossalmente contro questa occidentalizzazione globale si muove il terrorismo, praticato da giovani cresciuti in mezzo a noi, significa che l’Occidente non avrà una sua specificità e allora dovrà costruire un’infinità di muri oltre a quelli che già ci sono. Ciò significa ancora che avranno la meglio i paesi più tecnicamente assistiti e i più deboli soccomberanno. Potremo sopravvivere continuando a costruire difese…».
Lei chiude con una lettera sulla morte e sul pensiero della morte nel nostro quotidiano. Perché?
«Perché sono un greco e non sono un cristiano e la riflessione sulla morte mi ha accompagnato per tutta la vita. Bisogna imparare a morire. La morte non è interessante nel momento in cui succede, ma solo quando si comprende di essere mortali. La morte è il grande limite e l’idea della morte è quella che consente di vivere entro i limiti, senza oltrepassarli, senza andare oltre con l’arroganza, il potere, la superbia».
Lei oggi si rivolgerà a tanti giovani. Quale sarà la Sua lezione?
«In verità non amo molto parlare ai giovani per non scoraggiarli. E tuttavia li incontrerò e dunque la mia sarà una lezione sulla consapevolezza dei limiti. Dirò cosa è il nichilismo, spiegherò che è necessario aprire gli occhi».
Gli appuntamenti
Il professor Galimberti terrà oggi la lectio magistralis "L'uomo nell'età della tecnica" alle ore 17 al Rettorato. L'incontro, che sarà preceduto dai saluti del rettore Salvatore Cuzzocrea, ha il patrocinio dell'Università e dell'associazione AulMnime. Domani alle 10 al Palacultura il professore terrà invece la lezione "Il disagio giovanile nell'età del nichilismo" agli studenti degli istituti Maurolico-Galilei, La Farina-Basile, Seguenza, Archimede, Verona Trento, Ainis. Entrambi gli incontri sono organizzati dal gruppo Caronte&Tourist in collaborazione con la libreria Bonanzinga.
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