Considerato fra i maggiori violinisti del nostro tempo, ma non solo, Uto Ughi – 74 anni – si è distinto nel panorama musicale mondiale per il suo eccezionale talento artistico. La sua consacrazione risale al 1967, con l’esecuzione del concerto per violino di Beethoven nel cortile del Palazzo Ducale di Venezia. Da lì ha preso l’avvio una carriera brillante che lo ha visto esibirsi nei più importanti teatri del mondo. Dopo un silenzio discografico di tre anni, nel 2017 ha inciso l’album “Note d’Europa”, un disco dedicato al Vecchio Continente, che vuole essere «un viaggio del cuore e della memoria, tra Seicento e Novecento», oltre che un omaggio alla buona musica che l’Europa ha saputo creare. Un invito e un desiderio di condivisione e unione, perché, come lui stesso dice, «la musica con il suo linguaggio universale è la sola in grado di cancellare le distanze tra gli uomini». Torna a Messina dopo parecchi anni, venerdì, per proporlo al Palacultura accompagnato dal pianista Alessandro Specchi, nell’ambito della stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica. Gli abbiamo rivolto alcune domande. Com’è iniziato il suo percorso musicale? «Ho iniziato lo studio della musica a 6 anni, alla scuola Giovanni Battista Pergolesi di Varese e già a 10 anni ho avuto la fortuna di avvicinare i grandi musicisti come Enesku a Parigi e poi tanti grandi personaggi della musica mondiale. Ho ricevuto un’educazione musicale eterogenea, alimentata da una passione innata che non è mai venuta meno». Non ha mai disdegnato, però, di esibirsi anche in realtà provinciali minori. «Ho sempre pensato che la musica debba essere portata dappertutto e quindi anche in provincia: tutti devono poter fruire della bellezza e del piacere che opere di autori come Mozart danno ai sensi, all’anima e allo spirito. Anche l’Italia ha dato i natali a compositori straordinari come Paganini, Vivaldi o Verdi, ed è doveroso far conoscere a tutti le loro opere, soprattutto ai giovani, per diffondere la cultura e non costringerli a rinunciare a un patrimonio preziosissimo». Torna a Messina per la seconda volta; aveva chiesto di esibirsi al Palacultura, perché? «I colori, il timbro, le sfumature della musica sono elementi particolarissimi che il cuore e la mente percepiscono meglio se supportati da una buona acustica. In Italia ci sono degli splendidi teatri, ma spesso il rivestimento interno delle pareti non è consono alla propagazione del suono. Il vostro Palacultura è ottimo per i concerti di musica classica, perché il rivestimento in legno restituisce alle orecchie le giuste vibrazioni sonore in maniera ottimale». Oltre al violino, quale altro strumento ha suonato? «Ho studiato per 8 anni pianoforte al Conservatorio di Milano: ho sempre pensato che se il violino è lo strumento più sensibile, il pianoforte è quello più completo, perché racchiude in sé tutta l’armonia dell’orchestra». È possibile far accostare i giovani alla musica classica? Quale contributo possono dare i grandi artisti come lei? «Direi che è fondamentale far riscoprire ai giovani la bellezza della musica in generale, in particolare di quella classica. Ognuno di noi ha una musicalità latente che è bene sviluppare e, anche se si dovesse scegliere di non fare musica per professione, rimarrà sempre un’impronta di armonia, eleganza e buon gusto, in grado di arricchirci per la vita. Gli artisti devono impegnarsi anche attraverso iniziative gratuite, come feci io ad esempio, dieci anni fa, ideando a Roma un festival che prevedeva l’ingresso gratis per gli studenti universitari e, più in generale, per i giovani, per abituarli alla grande musica classica troppo spesso bistrattata dalle istituzioni scolastiche e dai media». Cosa vorrebbe “augurare” alla musica classica? «Che torni a essere trasmessa in radio e tv a orari meno proibitivi di quelli notturni ai quali da troppo tempo viene relegata: anni fa la Rai la trasmetteva in fasce orarie in cui molta più gente ne poteva godere, poi è sparita dai palinsesti. Trovo che questo sia un notevole impoverimento culturale, seguito dal fatto che la tv di Stato ha anche eliminato tutte le sue orchestre, lasciando come unica superstite quella di Torino. Spero che in futuro i musicisti italiani non siano più costretti ad andare all’estero per studiare ed esibirsi, e confido in una rinascita dell’interesse per la grande musica e, più in generale, per l’arte, affinché torni a essere conosciuta e condivisa nel nostro Paese!».