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Gullotta porta in scena Pirandello: l’uomo tra bigottismo e calunnie

Leo Gullotta

Uno dei più grandi attori del nostro Paese inaugurerà la stagione 2018-19 del Vittorio Emanuele dal 14 al 16 dicembre prossimi. Leo Gullotta, artista poliedrico con un illustre background nel teatro, nel cinema e in tv, si confronterà ancora una volta con uno dei capolavori di Luigi Pirandello, interpretando “Pensaci, Giacomino”, con la regia e l’adattamento di Fabio Grossi. L’attore catanese sarà il professor Toti, l’anziano insegnante che si prenderà cura di una giovane donna incinta chiedendola in moglie e consentendole così di usufruire della sua pensione quando lui non sarà più in vita. Un gesto nobile, che la società conservatrice e bigotta gli farà pagare a caro prezzo. In scena anche Liborio Natali, Rita Abela, Federica Bern, Gaia Lo Vecchio, Valentina Gristina, Marco Guglielmi, Valerio Santi e Sergio Mascherpa.

«Con questo testo, scritto cento anni fa, Pirandello ha creato una vera e propria macchina da guerra, ancora oggi efficace per modi e valori – afferma Gullotta –, il premio Nobel agrigentino usa il professor Toti per snocciolare, come un rosario laico, circostanze di contemporanea efficacia. Nel testo Pirandello ha annusato la disfatta della società odierna, come Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo”: costruire il nuovo per non costruire nulla. La storia attraversa temi attualissimi come la solitudine, la condizione femminile, l’arrivismo dei burocrati, i disagi della scuola pubblica, l’invadenza dei rappresentati ecclesiastici, quindi l’individuo depauperato fino al riscatto d’orgoglio. Pirandello ci dice che l’uomo giusto rimane da solo in questa società moderna, i suoi tempi sono rallentati contro quelli convulsi di una crescita che vede vincitore soltanto chi arriva. Spunti del genere sono molto attuali, compreso quello dell’importanza del giudizio altrui a tutti i costi, come avviene su Internet, attraverso la ricerca dei “mi piace”. Lo spettatore rivive questi temi durante lo spettacolo, e lentamente quasi vi entra, come se dicesse “Grazie, abbiamo bisogno di ragionare, scuotetem!”».

- Fino a che punto il professor Toti è vittima della società conservatrice?

«Vogliono farlo apparire come tale, ma non è un uomo spento. È un anticonformista, un paladino dei valori e alla fine vincerà lui con la presenza del bambino in questa diatriba. Questo personaggio è stato cavallo di battaglia di straordinari interpreti, da Sergio Tofano a Turi Ferro fino a Salvo Randone ed Ernesto Calindri, che l’hanno rappresentato come “il vecchio”. Dal momento che il testo non viene portato in scena da 35 anni, io ne offro un’interpretazione come anziano, perché gli anziani sono i primi a stare vicino ai giovani nei momenti di crisi. La sua anzianità rappresenta l’umanità, quella vera, qualcosa che oggi manca e che il pubblico vuol veder rappresentato con forza».

- La modernità di Pirandello risiede proprio in questa lungimiranza nel ritrarre un mondo che stenta ad evolversi?

«Pirandello ha sempre scritto opere di contenuto sociale. Notiamo ad esempio che la tematica della donna bistrattata dalla società è presente in maniera costante e c’è sempre un occhio rivolto alla condanna del bigottismo e dell’ipocrisia. Ogni volta che assistiamo ad una sua opera, questo grande drammaturgo ci ricorda in che stato siamo, nonostante siano passati cento anni dai suoi scritti, e nonostante il vizio tutto italiano di considerare antico, vecchio o superato tutto ciò che ci avverte sulla nostra condizione»\.

- Quale lavoro è stato fatto sul testo? È fedele all’originale?

«L’azione dello spettacolo si concentra in un atto unico di un’ora e venti, ma del testo non è stato tagliato assolutamente nulla. Si è accorpato tutto, affinché l’azione in scena e quella psicologica sul pubblico potessero essere in salita tutte assieme. La regia di Fabio Grossi è particolare per questo, e anche la scenografia che fa da sfondo alla storia, che è stata esaltata, grazie alla scenografa Angela Gallaro Goracci, attraverso quell’espressionismo tedesco tanto caro a Pirandello, utilizzando occhi, stampe e facce che prendono spunto dai grandi pittori di quella corrente, e che sono presenti dall’inizio alla fine».

- Nella sua carriera Lei ha spaziato dal teatro al cinema fino al varietà e al doppiaggio. Quali di questi generi sente più congeniale, anche come capacità di comunicare col pubblico?

«Mi ritengo un operaio dello spettacolo. In 58 anni di carriera e 72 di età ho sempre fatto ciò che mi hanno insegnato: l’onestà del mio lavoro, il rispetto del pubblico, lo studio e la conoscenza dei generi. Chi fa il mio mestiere dovrebbe conoscere tutti i linguaggi dello spettacolo, da quello del palcoscenico e della macchina da presa, al linguaggio dello studio televisivo. Il varietà, che ho fatto per circa 23 anni, mi ha fatto entrare con gioia nelle case agli italiani, che mi hanno ritrovato al cinema in film di forte intensità e drammaticità».

È in scena dal 14

Lo spettacolo che apre la stagione di Prosa al “Vittorio” andrà in scena dal 14 al 16 dicembre. “Pensaci Giacomino” nasce in veste di novella del 1915 per poi avere la sua prima edizione teatrale, in lingua, nel 1917. Tutti i ragionamenti, i luoghi comuni, gli assiomi pirandelliani sono presenti in quest’opera. Un testo di condanna, condanna di una società becera e ciarliera, dove il gioco della calunnia, del dissacro e del bigottismo è sempre pronto ad esibirsi. La storia racconta di una fanciulla che rimasta incinta del suo giovane fidanzato non sa come poter portare avanti questa gravidanza, e il professore Toti pensa di poterla aiutare chiedendola in moglie.

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