Messina
«C’è un oltre in tutto. Ma voi non volete e non sapete vederlo». Questa frase di Luigi Pirandello è citata in una pubblicazione che ricorda il progetto del 1985 “La montagna gialla” durante il periodo della “Zattera di Babele”, inventata da Carlo Quartucci a Erice negli anni Ottanta e Novanta. Una frase rivelatrice almeno per due motivi. Il primo è evidente: l’attività del teatrante messinese è sempre andata oltre ogni schema esistente e la sua ricerca ha costituito per decenni la possibilità di un abbattimento e ricostruzione di qualsiasi “oltre” teatrale. Il secondo è più pratico, se vogliamo, ed è apparso evidente durante la due giorni che finalmente la sua città, all’Università e al Vittorio Emanuele, ha dedicato a Quartucci, per iniziativa di Universi Teatrali e del Castello di Sancio Panza. Lui si è concesso generosamente, com’è nella sua natura, senza porsi limiti di tempo e di fatica. Ma nel suo darsi, nel suo narrare, quello che è uno dei pochi padri riconosciuti dell’avanguardia teatrale italiana è un magma incandescente.
Lui non ha passato: la sua attività è un enorme presente, fecondo di idee e di rinnovamento. Così, raccontandosi nella “lectio magistralis” all’Università e nell’incontro con i colleghi messinesi (accompagnato dall’indispensabile presenza di Carla Tatò, compagna di arte e di vita), poteva sembrare che Quartucci andasse continuamente da un argomento all’altro. Questo è il suo difetto e il suo pregio: un vulcano in eruzione emana materiali diversi tra di loro, uniti dalla qualità forte dell’incandescenza. Così il regista (e non solo) erutta storie con date e luoghi diversi, uniti dalla qualità delle idee, dalla commistione tra teatro, pittura, musica e geografia («dialogo non collage»). Insomma, va oltre (ecco il secondo oltre) le nostre comuni nozioni di tempo e di spazio, così banalmente divisorie.
Nel momento in cui questo è chiaro, ecco che le “affabulazioni” di Quartucci ci fanno trovare la gioia di ascoltarlo e di andare, tutti (e improvvisamente sembra facile), a volere e sapere vedere l’oltre di cui parlava Pirandello. Carlo e Carla sono artisti e persone, sognatori e concreti, utopistici e realizzatori, pifferai e piloti. C’è la verità in ogni loro atteggiamento e in ogni loro parola. Lui cita Gustavo Modena, attore e patriota dell’Ottocento, che chiedeva ai suoi attori di essere «pratici e vaporosi», e nei due aggettivi ci sono la fantasia e la realtà del viver recitando. Lei fa sentire “Dondolo” di Beckett e l’incipit del “Tamerlano” di Marlowe, tradotti rispettivamente da Fruttero e Lucentini e Rodolfo Wilcock («da poeta a poeta») e non recita, piuttosto suona le parole. Lui racconta aneddoti, come quando, giovane studente, protestava perché il concerto di un certo John Cage non cominciava mai per poi sentirsi dire dal musicista americano che il concerto era quello dei rumori del pubblico, inducendolo a prime riflessioni sui confini nelle arti e al loro interno. Ma da vaporoso “dimentica” di raccontare che dopo con Cage (e anche con Berio) lui ha lavorato.
Quartucci crede nella Drammaturgia delle Arti. Tutti sono attori: recitazione, pittura (con le sue storiche collaborazioni con Luzzati, Kounellis e Paolini), musica, movimento, presenza del pubblico. I confini non esistono. È la collettività del teatro. E segue questa logica anche il progetto di “Sicilia, paesaggio drammaturgico” che dovrebbe partire da giugno a Palermo con tappa a Messina.
Racconta e spiega, spiega e racconta: “Macbeth” al Festival di Edimburgo con navigazione e approdo al vero castello, “Pentesilea” da Erice a Berlino, Carmelo Bene che per una volta sola accetta di farsi dirigere da altri e sceglie Quartucci per un “Tamerlano” radiofonico, il paese di Genazzano che diventa teatro in ogni via e in ogni casa, “Camion” che viaggia e non si ferma mai. Tutto sembra oggi, in pieno svolgimento.
Eppure, gli chiedono dal cerchio di attori e registi che lo circonda sul palcoscenico del Vittorio Emanuele, la realtà non ci appare più così, come si può vivere oggi facendo teatro?
«L’oro serve per vivere in libertà», dice Tamerlano e bisogna dire sì al teatro e non allo spettacolo, il rilancio deve essere continuo e inarrestabile, «scoprire che si può andare sempre oltre». Difficile? Sicuramente, ma Quartucci, 79 anni con l’aria di non saperlo, unisce teatro e vita anche quando a fine giornata si fa accompagnare nei luoghi della sua fanciullezza, dei suoi genitori attori “scavalcamontagne”, dei giochi di ragazzino.
Del resto, al Vittorio Emanuele si era presentato così: «Io sono di Messina. Ho esordito in teatro facendo Gesù Bambino nella compagnia di papà e mamma». Appunto, sempre teatro vissuto e mai vita recitata.